Giuseppina De Rienzo, Vico del fico al Purgatorio

04-06-2008

Il folclore della De Rienzo, storia di donne, vicoli e guappi, di Marco Lombardi

Vico del fico al Purgatorio di Giusi De Rienzo è il romanzo maturo di una vera scrittrice napoletana, però, senza provincialismi. I suoi Vergini sono ben più di una comoda location per Giulia Leone: quarant’anni, corpo senza rughe, anima gonfia di lividi provocati da rapporti sbagliati con genitori e amanti; avvocatessa per compiacere il padre. Nei vicoli impregnati di dolore antico e di moderni aromi televisivi, il classico fatto di sangue, vittima un maschio prevaricatore e traditore con un paio di forbici piantate nella carotide, accade qualcosa di decisivo per Giulia. Schiva e silenziosa, viene invasa da un’umanità vociante, che manifesta la propria misera quotidianità come se calcasse le tavole di un eterno palcoscenico. A cominciare da Eva, ovvero Saverio De Rosa, femminiello settantenne e zio di Maria, accusata dell’omicidio di Mimmo, tipico guappo che, per giunta, se l’era sempre intesa alla luce del sole con la sorella di Maria, Rosaria. Una faccenda che aiuta Giulia a riflettere sui suoi drammi, compressi nei decorosi ambienti borghesi in cui è vissuta. L’azzeccata mossa stilistica dell’autrice è proprio la sapiente alternanza dei piani narrativi e lessicali. Mischiando il dialetto colorito, attraverso il quale in tribunale i personaggi contribuiscono all’accertamento di una verità meno evidente di quanto appaia, e l’italiano secco, efficace, con il quale Giulia stila il referto esistenziale di donna amata male, con un finale solo in parte prevedibile. Il femminismo di Giulia-Giusi è poco manicheo: basti pensare alla figura della madre, anemica sentimentale tratteggiata con la maestria ora indulgente ora furiosa di cui è capace solo una donna. Forse, è la condizione umana oggi refrattaria all’amore e la Napoli di Giusi De Rienzo compendia magnificamente tale impossibilità.