Giuseppina De Rienzo, Vico del fico al Purgatorio

14-11-2008
14/11/2008 - Corriere del Mezzogiorno - Napoli
Uno sciamano a vico Fico al Purgatorio. Viaggio tra letteratura e antropologia , di Antonio Emanuele Piedimonte

Ci sono libri che illuminano solo lo spazio interiore e altri che invece regalano caleidoscopici riflessi nel mondo delle cose. Ci sono libri che si limitano a parlare dei fantasmi dell’amore e della morte e altri che riescono a mostrare anche il passato e il futuro dei luoghi. Poi ci sono quelli, pochi in verità, che riescono a fare tutte queste cose insieme. È questo il caso di Vico del Fico al Purgatorio di Giuseppina De Rienzo, che già nel titolo, evidentemente, trascina il lettore nelle tufacee viscere della Napoli più arcaica e conturbante, dentro l’odorosa e rumorosa casbah del dedalo greco-romano, laggiù dove il tempo, per molti versi, si è fermato al Seicento.
Pagine che si fanno porte per entrare in quella che oltre due secoli fa venne indicata come «l’altra città»: le due nazioni napoletane di Vincenzo Cuoco, «distinte tra loro da due secoli e due gradi di clima» (e che purtroppo ancora oggi qualcuno continua ottimisticamente a immaginarsi tali).
Non solo Decumani - Ma non ci sono solo i Decumani nel bel romanzo - finalista al premio Strega 2008 - della scrittrice napoletana, c’è un’altra di quelle periferie che sono nel cuore della città: «La zona dei Vergini dove abito con mio padre è affollata, chiassosa, violenta», scrive l’autrice in uno dei primi capitoli. E, con nettezza giornalistica e precisione antropologica, aggiunge: «Tutti hanno quel piglio di chi ha fatta sua l’arroganza e la usa come normale mezzo di difesa. Là dentro circola un male nascosto ma presente. Non lo vedi ma te lo senti addosso, lo registri mentre passi, mentre cammini, mentre incroci sguardi neri, puntuti e rapidi. Una sola occhiata e già ti senti preda». Sensazioni che i napoletani ben conoscono ma che quasi mai erano state così ben raccontate. Non si tratta però, è bene chiarirlo a scanso di equivoci, di un volume post-Gomorra, tutt’altro: l’affascinante romanzo della De Rienzo parla principalmente d’amore, quello per i propri familiari e quello tra uomini e donne. E quello per Napoli, l’unica città al mondo dove, come ha ricordato Francesco Durante nel suo «Scuorno», esiste ancora la plebe. Nel bene e, soprattutto, nel male.
Uno sciamano a Napoli - Un mondo «basso» che la scrittrice - con rabdomantica perizia - ci restituisce in tutta la sua forza innanzitutto attraverso un sapiente uso della lingua e la felice collocazione di gran parte del racconto: la degradata zona a ridosso dell’antica chiesa di Santa Maria del Purgatorio ad Arco, tra sudate e opprimenti stradine dove è quasi impossibile anche solo camminare per lo sfrecciare animalesco degli scooter. Ed è lì, perché solo lì poteva accadere, che la protagonista del romanzo incontra lo sciamano che la condurrà ai confini con l’aldilà, un vecchio travestito che le apre le porte dei sotterranei dell’edificio sacro. Spazio magico e religioso - l’unico luogo dove sopravvive il culto delle anime del Purgatorio - dove il tempo, come la luce sull’orlo di un buco nero, può cambiare direzione e aprire inusitati varchi nella memoria, personale e collettiva. Tra ossa e teschi, la De Rienzo fa muovere Saverio De Rosa, meglio noto come Eva, il femminiello che qualche lettore a lungo sospetterà di essere il vero autore dell’atroce crimine per il quale è invece accusata la giovane nipote.
Capuzzelle e amori - La soluzione del piccolo «giallo» la lasciamo a chi avrà la lungimiranza di affrontare la lettura del volume pubblicato da Manni (196 pagine, 17 euro), ma sull’ossario di Purgatorio ad Arco va detto che oltre ad essere il più famoso insieme al Cimitero delle Fontanelle è anche l’unico ad essere aperto al pubblico (il sabato mattina). Dunque è possibile scendere nell’ipogeo e incontrare il teschio di «Lucia», la sposa morta il giorno del matrimonio. E sentire la cantilena «Requia materna… sparpètua Lucìa ‘nterna, e schiàtt in pace!» che Eva recita davanti all’avvocato Giulia Leone per sollecitarla ad accarezzare le capuzzelle: «Tocca, tocca…» indicandole così quell’esplorazione negli inferi che, come sempre, diventa un viaggio iniziatico, per la protagonista che riesce così a rivivere i suoi traumi più dolorosi e per il lettore, che si trova sprofondato nel buio della città di sotto, accompagnato solo da nenie, lumini e fantasmi. Sino al ritorno in superfice, che esplode nel modo più partenopeo possibile: con l’abbagliante azzurro del mare. Liquido specchio destinato a uccidere le Sirene e illuminare quel che il Vesuvio lascia in piedi. Un libro da leggere (e da regalare), una visita da fare.

01/02/2009 - www.napoligaypress.it
Nel ventre di Napoli con gli occhi di un femminiello
 
"Camminando serio e un po’ compunto Ev mi viene incontro.
Mi guarda. E temendo forse di avere più di un motivo per sentirsi studiato, abbassa gli occhi.
Si capisce che è abituato a essere osservato, giudicato da sempre”
Saverio Derosa, detto Eva (“Ev per brevità, ma anche per doveroso riguardo”) è il filo conduttore e voce narrante del romanzo di Giuseppina De Rienzo Vico del fico al purgatorio e tra i libri selezionati all’ultimo Premio Strega.
Eva è un vecchio femminiello che, nelle pagine del libro, diventa la voce di Napoli di cui, attraverso un intreccio giallo che prende il via proprio nella zona dei Decumani e dei Vergini che danno il titolo al romanzo, vengono raccontati i contrasti.
Mariuccia, nipote di Saverio sospettata di aver ucciso il marito, e Giulia, l’avvocato incaricato di difenderla, sono le altre figure femminili che popolano un romanzo ai cui margini ci sono uomini incapaci di amare e farsi amare di Eva, figura quasi mitica di maschio che aspira alla femminilità, ce ha amato una sola volta nella vita.
La cadenza partenopea di Saverio/Eva si alterna al linguaggio burocratico degli atti legali mentre la borghese Giulia si immerge sempre più nel mondo popolare di Mariuccia accomunate nello stesso purgatorio.