Gladis Alicia Pereyra, Il cammino e il pellegrino

01-12-2012

Intervista di Elena Torre

Quando è nato il suo amore per il Medioevo?
La prima cosa che mi ha attirata del Medioevo è stata l’arte, particolarmente l’architettura. La semplice maestosità delle chiese romaniche mi trasmette qualcosa che non percepisco nelle chiese di epoche posteriori, nonostante ne apprezzi la bellezza.
 
Perché la Firenze medievale?
Quando ho deciso di raccontare la storia di una mistica, ho preso a modello Angela da Foligno, una tra le più grandi visionarie italiane, vissuta nel XIII secolo. Con un tale modello la vicenda di Fiammetta si doveva, necessariamente, svolgere nello stesso lasso temporale; in quanto allo spazio, le mie intenzioni erano di lasciarlo in secondo piano. Ho scelto Firenze perché la ho sempre amata, prima ancora di trasferirmi in Italia. La Firenze che mi affascinava, però, era quella rinascimentale. La Fiorenza  a cavallo tra il XIII e XIV secolo la conoscevo attraverso Dante, ma non mi ero mai dedicata ad approfondirne la storia. Cercando di documentarmi per costruire questa cornice spaziale dove inserire il racconto della mistica, sono rimasta colpita dalla ricchezza della realtà fiorentina dell’epoca, al punto tale che, da sfondo appena delineato del mio romanzo, è diventata una delle protagoniste, cambiando radicalmente il mio progetto.
 
Quali le difficoltà e le possibilità di ambientare un romanzo in un’epoca che non è la propria?
Le difficoltà possono essere enormi o non esserci affatto, tutto dipende se si vuole ricostruire seriamente il periodo storico e affrontare la fatica che ciò comporta o se si decide semplicemente di sfruttare l’idea che comunemente la gente ha del periodo in questione. Nella prima ipotesi le difficoltà non mancano, trovare la documentazione necessaria a ricreare la vita quotidiana di solito non è facile. È come assemblare un puzzle i cui tasselli siano disseminati in tanti testi, principalmente dell’epoca, sparsi qua e là, bisogna avere la pazienza di cercarli e di sistemarli al posto giusto. Ancora più impervio è il compito di plasmare la psicologia dei personaggi tentando di vedere il mondo di allora attraverso i loro occhi e con la loro mentalità. Catturare quella realtà così distante e diversa dalla nostra e farla diventare materia prima della narrazione è un lavoro appassionante e, forse, più impegnativo ancora di scrivere un saggio, perché il romanzo abbraccia più aspetti di una stessa realtà, e ne offre una visione più ampia. Detto questo, non si deve dimenticare che si tratta di un prodotto della fantasia, dove l’autore, per molto che s’impegni, non può prescindere dalla propria visione del mondo e per rigorosa che sia stata la ricerca il risultato sarà sempre un’interpretazione. Questo, penso, valga anche per il saggio.
 
Come ha tratteggiato i suoi quattro protagonisti?
Ho molto giocato sugli opposti che, sotto certi aspetti, sono complementari. Fiammetta è depositaria di una conoscenza trascendentale, Agnola è attirata da un sapere terreno, si dedica allo studio delle erbe medicinali e a curare le malattie del corpo, mentre Fiammetta si interessa alle malattie dell’anima e alla poesia. Fiammetta è sensuale, capricciosa, autoritaria, Agnola mite e austera, ma con una notevole forza di carattere. Per elaborare la crisi mistica di Fiammetta ho preso a modello, come già detto, Angela da Foligno. Agnola, sotto certi aspetti, appare come la donna stilnovistica.
Lapo è tutto passione e istinto, ama e odia con la stessa forza, Guido è un intellettuale, un poeta, molto razionale. L’istintività di Lapo lo porta a commettere gravi errori, ma alla fine gli consente di trovare il giusto equilibrio della personalità e a fronteggiare l’avversità senza soccombere. Guido, abituato alle speculazioni filosofiche, non si è mai preoccupato d’imparare a gestire i sentimenti e ne diventa facile preda. A ognuno di loro ho attribuito un colore che è quello delle vesti che indossano nella festa di San Giovanni. Fiammetta il rosso e il bianco, Agnola l’azzurro, Lapo il giallo e Guido il verde. Fiammetta e Guido formano insieme i colori delle tre virtù teologali, Agnola e Lapo la luce del giorno.
 
Se guarda agli adolescenti di allora e guarda quelli di adesso cosa pensa?
L’adolescenza è un periodo di grandi cambiamenti fisici e psichici che si susseguono in fretta creando incertezze che possono portare a scelte sbagliate capaci di segnare la vita futura. E’ un periodo delicato in cui i pericoli vengono potenziati dalla inesperienza. Gli adolescenti di allora, a differenza dei ragazzi di oggi, avevano poche possibilità di scelta, specialmente le donne. La loro vita era programmata fin dalla nascita in accordo con il ceto sociale di appartenenza; i matrimoni venivano concordati senza prendere in considerazione le inclinazioni dei diretti interessati. Trasgredire regole cosi ferree, tuttavia, era lungi dall’essere impossibile e i più audaci, se aiutati dalla fortuna, riuscivano a costruirsi una vita in armonia con le proprie aspirazioni. In seno alla famiglia, i cui legami erano forti, il giovane si sentiva protetto e il passaggio all’età adulta era meno conflittuale. Pagavano la sicurezza con la libertà.
L’adolescente di oggi si trova di fronte a una libertà di scelta che i coetanei del medioevo non si sognavano. Le regole sono diventate elastiche, spesso persino incerte, cosa che nei giovani non di rado crea disorientamento. La conquista dei diritti civili ha fatto passi da gigante durante il secolo scorso, le nuove generazioni ne godono i risultati senza troppo interessarsi alle lotte sostenute dalle generazioni precedenti per ottenerli. L’allentarsi dei legami familiari a volte lascia i giovani abbandonati a se stessi. I genitori di oggi spesso dimenticano il loro ruolo di guida nella formazione dei propri figli, così come nella scuola il ruolo dell’insegnante viene sempre più spogliato di autorità. Tutto questo, unito a una certa amoralità nella condotta degli adulti e all’incertezza di un futuro non più garantito, rende più difficile e pericolosa la transizione.
 
Cosa cambia nel corso del tempo e cosa resta immutato?
Immutato resta l’animo umano come immutato sicuramente resterà sempre. Cambia invece il modo in cui i sentimenti, le passioni, le aspirazioni si esprimono in un contesto sociale in continuo mutamento attraverso i secoli. Cambia il concetto di bene e di male e con esso la morale che contraddistingue un’epoca. Rimane invariato il senso del sacro che non vuol dire aderire a una determinata istituzione religiosa. Il mistero di un qualcosa che trascende le possibilità cognitive dell’intelletto si annida nel profondo dell’anima umana, lo si voglia chiamare Dio o Se o in qualsiasi altro modo, lì è sempre stato e sempre resterà, a dispetto dell’odierno materialismo, perché fa parte di noi.
 
A cosa sta lavorando adesso?
Ho appena finito una raccolta di racconti dal titolo “Il caso del lago di Bracciano”. Uno dei racconti, “Il suicidio” che ha dato il via alla raccolta, ha ricevuto un premio a Melbourne  nel XX Concorso Letterario Internazionale indetto dall’Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori. Ora ho ripreso a lavorare a un romanzo che da qualche tempo era stato lasciato a riposare nel cassetto; s’intitola “Il viaggio” e si svolge in Lombardia tra il 1821 e il 1839, mi propongo di finirlo entro il 2013.