Figlia d’arte si può leggere come un thriller, un piccolo divertissement, un omaggio a un grande maestro della scena e del cinema italiano del ’900 o, al contrario, come un giudizio sulla condotta “umana” di un gigante dell’arte scenica. Guido Davico Bonino, per anni critico teatrale di “La Stampa”, dirigente di Einaudi, scrive una sorte di apologo sull’eterna domanda se la genialità dell’artista sia un dono esclusivo o piuttosto non debba essere condiviso con chi non ne gode. Una storia percorsa dalla suspense che si crea dall’incontro tra il protagonista vecchio e malato e due sconosciute, incontrate nel castello avito. Lascia anche un altro dubbio, l’autore, ma non così difficile da dissipare, sull’identità del protagonista, Guido Ratti. Gli indizi sono molti e accurati. Aristocratico di antico lignaggio, carattere spigoloso, passione per i cavalli e geniale creatività.