Il portiere caduto alla difesa

14-03-2006

Il calcio come gioco e metafora, di Giovanni Maccari


Un celebre verso di Saba dà il titolo a una stringata antologia dedicata a un argomento apparentemente vastissimo come il calcio, a cura e con una penetrante introduzione di Folco Portinari. L’assunto di quest’ultimo, piuttosto curioso date le circostanze ma pienamente condivisibile è che «non esiste né può esistere una letteratura sportiva contemporanea per la banalissima ragione che non esiste più lo sport, inteso come gioco gratuito». Oggi lo sport, si sa, è un mestiere estremamente lucroso per chi lo pratica a livello professionistico, mentre i suoi ritmi e persino le sue regole sono dettate chiaramente non dallo spirito del gioco ma dalle leggi di mercato. Cosa di cui l’introduttore non si scandalizza affatto, pur reclamando una maggiore chiarezza intorno alla questione. Se lo sport è diventato «un’altra cosa», la «colpa» della letteratura è di non essersene accorta, o di aver finto di non accorgersene, arrestandosi così alla descrizione di un gioco che è solo la punta del fenomeno che rappresenta, la superficie inerte e per così dire meccanica della cosa intera. La poesia, di cui pure si presentano illustri esemplari –dalle Cinque poesie di Saba a Buffalo di Montale (alla rubrica ciclismo), a Raboni, Cucchi, Buffoni, lo stesso Portinari– la poesia tratta il gioco del calcio come un serbatoio di significati altri, non sportivi ma esistenziali o sentimentali; perciò al di là dei risultati non è poesia sportiva, ma semmai una poesia che prende a pretesto lo sport per altri fini.
Quanto alla prosa giornalistica, essa è stata appiattita e sconfitta dall’avvento dell’immagine, della televisione, per cui in effetti rimane ben poco da raccontare. Fa la parte del leone in questo campo il vecchio Gianni Brera, di cui si antologizza uno strepitoso Ritratto breve di Fausto Coppi e altri brani diversamente riusciti (anche il commento a Italia-Germania 4-3) ma comunque di un livello incomparabile a quanto si scrive oggi. Da segnalare ancora, sul versante polemico a cui l’antologia vuole tenersi attaccata, un brano di Pasolini sul calcio come linguaggio (sistema di segni, con una bacchettata al giornalismo come sottogenere ancillare della letteratura. Il versante eroicomico della rappresentazione sportiva non sembra essere troppo nelle corde del curatore, che lo considera il rovescio di una rappresentazione epica comunque sfocata, per i motivi cui si accennava sopra. I brani antologizzati di Campanile e Benni in effetti mostrano un po’ la corda degli anni, come dire che si aveva l’impressione di ricordarli più divertenti. Disposta in ordine cronologico, con un chiaro squilibrio tra i due sport a favore del calcio, l’antologia si spinge fino ai giorni nostri, Aldo Nove, Giuliana Oliviero e Franco Bernini sono gli ultimi prosatori; il pezzo di Bernini con una mimesi dialettale-sociologica tarantina notevolmente vivace. Chiudono il libro due mirabili poesie recenti di Vecchioni, Alberto Bevilacqua e Mario Luzi, con un componimento ciclistico 2005 che deve essere fra gli ultimi della sua vita longeva.