Manfredonia arsenico e vecchie verità, di Livio Costarella
Il 9 aprile 1997, Nicola Lovecchio, operaio del petrolchimico di Manfredonia, muore di tumore ai polmoni a soli 50 anni.
Senza aver mai toccato una sigaretta. Malattia professionale, probabilmente. La causa? Un noto incidente avvenuto il 26 settembre 1976 a Manfredonia: lo scoppio di una colonna di lavaggio dell’ammoniaca all’interno del Petrolchimico, uno dei più grandi disastri ambientali e sanitari della storia dell’industria italiana.
A partire dai mesi successivi all’incidente e lungo un arco temporale di circa 20 anni, si sono registrate sedici morti sospette tra i lavoratori del Petrolchimico e molteplici casi di patologie tumorali negli abitanti
di Manfredonia. La vicenda di Lovecchio e del processo penale contro dirigenti
e consulenti medici è raccontata adesso nel libro Di fabbrica si muore (Manni ed., pp. 104, euro 11), scritto dall’oncologo brindisino Maurizio Portaluri (dal 1999 primario all’ospedale Perrino di Brindisi) e dall’attore e regista tarantino Alessandro Langiu (che ha tratto una pièce teatrale). Gli autori presenteranno il volume oggi alla libreria Laterza, alle 18,30, insieme all’assessore regionale al lavoro Marco Barbieri, in un incontro coordinato dal giornalista Luigi Quaranta.
Il medico Portaluri conosce il malato Lovecchio nel 1995: “Quando lo vidi – racconta l’oncologo – mi stupì che una persona così giovane avesse una simile patologia senza aver mai fumato. Da allora cominciammo insieme un’indagine “scalza”, cioè senza il cappello dell’ufficialità accademica o istituzionale, sulle condizioni di lavoro e sui tumori nello stabilimento».
Il fine del libro?
«Raccontare il rapporto trascienza e lavoro, medicina e fabbrica.Con dati che dovrebberofar riflettere. Oggi si parla moltodi incidenti sul lavoro: dovremmochiederci com’è possibileche dal 2000 al 2004 sono aumentatiin Puglia, ma diminuiti inItalia. Mentre le morti sul lavoro- sono diminuite in Puglia e aumentate in Italia. In tutto ciò mancano all’appello le malattie professionali che purtroppo sfuggono a qualsiasi denuncia».
Che ricordo ha di Nicola Lovecchio ?
«Mi ha arricchito dal punto di vista medico-scientifico e umano. Non era il classico operaio rivoluzionario arrabbiato, ma una persona che conosceva molto bene i processi produttivi. Col suo coraggio ha dato un contributo fondamentale alla conoscenza degli effetti di una produzione industriale sulla salute dei lavoratori. Insegnando, purtroppo, che la medicina e la
scienza non sono neutrali ma possono essere al servizio di differenti e contrastanti interessi».
Quando si è concluso il processo?
«Il 5 ottobre 2007: con l’assoluzione per i dirigenti del petrolchimico perché “il fatto non sussiste”. Tra i vari elementi spiccava
l’accertamento, da parte dei difensori di Lovecchio, dell’altissima quantità di arsenico nell’urina degli operai anche molti mesi dopo l’esplosione. La spiegazione della difesa? “Siamo in una città di mare, e l’alto tasso di arsenicure è riconducibile ad un elevato consumo di crostacei, in particolare di gamberi. Elevato, costante ed in quantità esorbitante. Circa un chilo al giorno».