Roba da niente, di Giammarco Raponi
È il 26 settembre 1976, 9.50 del mattino, la deflagrazione non è per nulla fragorosa, non ha niente di dirompente, anzi arriva quasi ovattata. Ciononostante le conseguenze saranno drammatiche. Ma cosa è successo con esattezza? È esplosa la colonna di lavaggio dell’arsenico, dicono. Roba da niente, forse. Eppure c’è una nube nell’aria che sembra un fungo.
Nicola Lovecchio quel giorno è di turno dalle 14 alle 22,00, ma nessuno gli dice niente delle conseguenze dell’esplosione, perciò va comunque a lavorare. In realtà, sono in molti a sapere l’effetto di un tale disastro.
La fabbrica esiste dal 1967, contro un coro di voci che profetizzarono le conseguenze di natura ambientale e sanitaria del territorio garganico, e da allora fino ai giorni nostri questo non sarà l’unico incedente. Ma non importa, ciò che importa è la produzione. E lì si producono fertilizzanti e caprolattame da cui si ottiene il nylon.
Nicola Lovecchio lavora all’Enichem di Manfredonia dal 1971, reparto insacco magazzino fertilizzanti. Poco distante da dove è esplosa la colonna.
E l’arsenico, dov’è andato a finire? L’arsenico ormai è dappertutto: nella terra, nelle piante, negli ortaggi, nel mare, nel cielo, nei polmoni delle gente. I primi a morire sono gli animali. Poi tocca alle persone. Ma nessuno sa, o vuole sapere, chi è il vero killer.
Gli anni passano e l’Enichem continua a produrre e a utilizzare l’arsenico che, si sa da tempo, è una sostanza cancerogena. E di fatti Nicola Lovecchio nel 1996 va in pensione perché due anni prima gli hanno scoperto un tumore ai polmoni, che lo consumerà in un anno, lui che non ha mai toccato una sigaretta in vita sua.
Come molti, dunque, Nicola Lovecchio è rimasto contaminato dall’arsenico, sin da quel lontano 1976, ma lo scopre soltanto 20 anni più tardi, quando la curiosità e la sensibilità di un medico faranno venir fuori come esattamente stavano le cose. Questo medico si chiama Maurizio Portaluri e per metà ha scritto il libro in questione:
Di fabbrica si muore, edito da Manni Editori.
L’altra metà è di Alessandro Langiu, drammaturgo e attore, che da questa storia ha ricavato la pièce teatrale “Anagrafe Lovecchio”, che non vuol essere solo una denuncia sociale, ma soprattutto coscienza e, come nel caso specifico, coscienza sporca di un Paese intero.
Ecco, questo libro, raccontando la storia di Nicola Lovecchio, racconta di un Paese la cui storia politica ed economica spesso ha approfittato del territorio e della gente. Un Paese che troppo spesso non si assume le proprie responsabilità. Nessuno, in effetti, ha pagato veramente per Lovecchio e per chi come lui ci ha rimesso la pelle: né l’Enichem, né gli industriali, né lo Stato.
Il brutto è che un’alternativa all’arsenico c’era, e si chiamava “glicina”. Anche il nome era più innocuo. Solo che i soldi vengono prima di tutto. Prima di tutti.