Lara Savoia, I miei giochi scomposti

19-10-2012

Sotto le macerie dell'Eros, di Lara Savoia

La terra tremò alle 3 del mattino: era il 6 aprile 2009. Il centro storico dell’Aquila, gioiello dell’umanità, si sbriciolò come fosse di cartone. Lara Savoia, pugliese di Salve (Lecce), sesto anno di Medicina, fece in tempo a trascinare in strada una mamma e il suo bimbo spaventati. Le sue migliori amiche rimasero sotto i calcinacci. “Non voglio pensarci – dice con tristezza - era anche un periodo sfortunato in amore”. Terribili i giorni successivi, le scosse di assestamento, la confusione, i parenti che telefonano (suo padre arrivò quasi subito). Ma la vita continua. E così una mattina Lara si fece coraggio, strisciò fra le macerie e, sorpresa: ecco intatto il pc, i libri di Medicina, i moleskine con gli appunti delle lezioni, e le poesie degli ultimi 5-6 anni.  

   E’ il background di “I miei giochi scomposti” (pp. 116, € 12, prefazione di Hervè A. Cavallera), che l’editore leccese Manni propone nella collana “Poeti emergenti” diretta da Anna Grazia D’Oria. Opera seconda dopo il successo di “Flauto e Serpente” (edizioni kimerik, Messina, 2007). Sono 94 poesie divise in 4 sezioni, una per ogni stagione: inverno, primavera, estate, autunno, “come quelle di Vivaldi, uno dei miei autori preferiti, con Mozart e Beethoven”, sorride intrigante. Versi vissuti, di una luce trasparente e pura, pregni di una musicalità ontologica. Studi scientifici, appassionata di Fisica, Matematica, Astronomia (“La notte guardo il cielo, studio la posizione delle stelle”), mille interessi (meccanica quantistica, atomi, chimica molecolare, ecc.), ma anche pittura, scultura, moda, design, in questo incontro mette a nudo la sua anima usando la poesia come una password per decodificare l’infinito mistero della vita.
Domanda: Quali poeti l’hanno influenzata?
Risposta: “Su tutti amo Keats e la musicalità dei suoi versi: ‘Ode su un’urna greca’ mi fa piangere. E’ quella trasparenza che voglio raggiungere. Amo anche Baudelaire e i poeti “maledetti”, l’anima barocca di Pessoa, il pathos di Alda Merini, il tormento di Ezra Pound, la solarità di Neruda. E poi Pedro Salinas…”.
D. Lei è credente?
R. “Profondamente. Anni fa stavo per morire, avevo 42 di febbre. Credo di essere stata miracolata”.
D. Chi è il più grande uomo dell’umanità?
R. “Einstein”
D. Quando ha scoperto la poesia?
R. “Sin da piccola, appena vedevo un foglio bianco lo riempivo di parole. A 14 anni i compagni a scuola lessero qualcosa e esclamarono: Ma questa è poesia! Per me scrivere è come bere, mangiare. Le parole sulla carta hanno una loro vita autonoma. Le confido i miei segreti. Non scrivo per me stessa ma per comunicare con gli altri. Scrivo con gli occhi più che con le viscere e la mente”.
D. Che tecnica usa?
R. “Scrivo e riscrivo una poesia all’infinito. Anche 15 volte. Finché non ha la sua musica. A una ho lavorato ben 2 anni e ½. Compongo e scompongo come i puzzle di Escher. Le parole devono incastrarsi, amalgamarsi, avere lo stesso ritmo, essere un tutt’uno. Mi piace la semplicità: è il mio punto d’arrivo e per giungerci ho lavorato tanto. È più facile essere ermetici. C’è una ricerca estetica, ma non abbellisco i versi: non hanno bisogno di orpelli. La poesia è musica, se non ce l’hai dentro non puoi scrivere; se non sei trasparente tu non può essere trasparente”.
D. Perché a volte parla al maschile?
R. “Mi viene così, non lo so perché…”.
D. Cosa cerca scrivendo poesia?
R. “Qualcosa di mio, un timbro solo mio. Forse l’ho toccato con le poesie erotiche di questo libro, ma non è facile, ancora ne devo mangiare di pane duro. La ricerca più difficile è quella che si conduce dentro se stessi. Non mi paragono ai grandi, ma solo i piccoli non vogliono somigliare ai grandi”.
D. Kafka: ‘Ogni vero poeta dovrebbe arrossire per ogni suo verso’
R. “Mi chiedo come reagirà il mio paese a queste poesie erotiche”.