Le due città

28-11-2007
Benny vive", la storia in un graffito, di Mario Desiati
 
Ci sono scritte sui muri che ci accompagnano nella vita come un solco anonimo sullo sfondo. Un paesaggio con parole a cui non sappiamo dare il significato. Per molti di coloro che oggi hanno venti o trent´anni certe scritte come quella che fino a 10 anni fa era ben visibile dietro il Fermi di Carrassi "Benny vive!", sono un graffito e basta. Solo frequentando l´Università, ma frequentandola nelle sue aule dove covavano i primi germi del popolo di Seattle, dei movimenti antimondializzazione alla fine degli anni Novanta sono riuscito a percepire chi fosse davvero Benedetto Petrone.

Quel nome per tanti miei coetanei è forse galleggiato sul magma confuso delle ricorrenze nell´ambito di una stagione dove i contesti erano cambiati. In una generazione cresciuta con assemblee di istituto e scioperi per i termosifoni spenti "Benny vive!" che significato poteva avere? Ho interpellato gli amici e i compagni universitari di qualche anno fa. Ho indagato su quando avevano sentito parlare per la prima volta di Benny. Quasi nessuno lo ha mai scoperto prima degli anni accademici. E la scoperta è sempre avvenuta per un dato di cronaca, una curiosità davanti a una scritta scarabocchiata sui muri.

Quel "Benny vive!" era una scritta che fino alla fine degli anni Novanta proliferava sui muri tra Carrassi e San Pasquale. Non un caso, era la zona con maggiore concentrazione di scuole e studenti, ma anche di militanti. Era il territorio che cercavano di conquistarsi le frange opposte di una lotta che a un certo punto non aveva più quasi nulla di politico. Ma non era solo uno slogan lasciato a futura memoria, un reperto di archeologia urbana, era il segno di un modo di pensare diverso, quando sui muri predominava ancora la politica rispetto al calcio e i TVB. Oggi quella scritta è rimasta nella periferia a Japigia, sbiadita, ma ancora lì. Ogni città italiana ha i suoi morti di un periodo folle e autodistruttivo come quello che va dalla metà dei Settanta alla metà degli Ottanta. A Roma, Milano, Torino dopo trent´anni continuano a scoprirsi i cippi, intestare le strade, inaugurare le insegne con i nomi di coloro parteciparono a quella che a tutti gli effetti è stata quasi una guerra civile.

Bari e l´intera Puglia hanno forse una storia a parte rispetto al clima di tensione politico di quegli anni. La tensione era ugualmente palpitante, ma le scorie e i veleni sono stati soppiantati da un´altra guerra, quella di mafia, una guerra che negli anni Novanta ha bruciato gli stessi luoghi degli scontri politici di un decennio prima. Quelle zone off limits per ragioni politiche diventarono poi inavvicinabili nei periodi di massima tensione delle vendette tra le cosche. Non è un caso infatti che l´introduzione nel volume Le due città – I giorni di Benedetto Petrone faccia cenno alle vittime innocenti dei regolamenti tra clan. L´inchiesta ripubblicata da Manni editore in questa settimana, uscì nel novembre del 1978 a firma di Pasquale Martino e Nicola Signorile. Il libro, oggi in una nuova veste, ha la prefazione di Nichi Vendola che ripercorre gli umori e i sentimenti di quei giorni. La curatela del volume è di Nico Lorusso e Ignazio Minerva a cui va il merito di aver riportato alla luce un testo che racconta non solo la temperie di quei giorni con un resoconto dettagliato e partecipato, ma anche l´energia e la tensione che attraversò la città.

Nella postfazione è scritto «Questo libro trent´anni dopo, si rivolge anche al giovane di allora…», ma è proprio forse un giovane di oggi che può cercare nei turbamenti dei suoi coetanei di quel tempo una chiave di lettura del presente. La morte del diciannovenne Benedetto Petrone, il 28 novembre 1977 in seguito a un´aggressione fascista produsse decine di eventi spontanei e manifestazioni organizzate, tra cui quella «dei trentamila in Piazza Prefettura», quello che per molti fu il fatto più rilevante dopo la morte del giovane operaio di Bari Vecchia. Col senno di poi quella manifestazione sancì il debutto di una certa classe dirigente ma anche di una nuova coscienza della città che poco alla volta prese atto nel ripudiare la violenza da ogni scontro politico.

Le commemorazioni a volta non servono, spesso s´infrangono su una data di calendario, un rito politico, diventano soprattutto un gioco di riflessi e autoreferenzialità. Questo trentennale invece ha un sapore diverso, quello di una città e di una generazione che ha saputo superare gli anni violenti dello scontro politico. È un tocco di memoria dunque, per coloro che davanti alla scritta "Benny vive!" si grattano la testa per capire chi ci sia dietro quel graffito, per coloro che sulla carta d´identità hanno una data di nascita che corrisponde con quegli anni violenti, per tutti coloro che una volta nella vita hanno sentito l´indignazione e la rabbia di non essere liberi, la voglia e la necessità di uscire e camminare per la città senza paura.