Le due città forse esistono ancora, ma è sempre più difficile distinguerle. Trent'anni fa, sì che Bari era divisa in due. Trent'anni e qualche settimana fa, quando Benny fu accoltellato nell'angolo di piazza della Libertà che guarda piazza Massari.
Fu collocata una targa, abusiva, sul muro della Prefettura. C'era scritto: "In questa piazza, il 28 novembre 1977 una squadraccia missina uccise Benedetto Petrone, 18 anni, operaio, comunista". Due anni dopo mani ignote la distrussero. Venne ricollocata, era impercettibilmente ma sostanzialmente cambiata. La firma "Gli antifascisti di Bari" era diventata "I democratici e gli antifascisti di Bari" - specie diverse, nello spirito dei promotori - e l'identità di Benny era sepolta sotto un "operaio comunista 18 anni", che lo rendeva estraneo ai non comunisti.
Anche questo è va messo in conto alle due anime. Una, quella popolare del borgo antico, dove il ragazzo, claudicante, cercava di fuggire alla squadraccia assassina. Contro, quella della città bene, levantina e commerciale. La prima sosteneva in massa la sinistra. Nella seconda a i consensi si collocavano destra.
Oggi non si riconoscono più, nemmeno nel voto, Le due città, che Pasquale Martino e Nicola Signorile scelsero come titolo del loro I giorni di Benedetto Petrone, il libro-inchiesta scritto in poco più di due mesi per il primo anniversario del delitto, nel 1978. Ora, nel trentennale, è stato rieditato dall'editore Piero Manni (110 pagg. 12 euro), a cura dei colleghi Nico Lorusso e Ignazio Minerva.
Diversi gli spunti offerti da questo documento della memoria di una generazione. Tanti soprattutto per chi, come chi scrive, gironzolava il giorno dopo nella terra di nessuno tra dimostranti e forze di polizia, incurante del fumo dei lacrimogeni e confidando nella relativa sicurezza dell'esperienza di militante post-sessantottino e nell'illusoria immunità offerta dalla tessera di redattore precario dell'allora mitica Bari Radio Uno, già sesta Radio Libera in Italia.
Non ricordo Benedetto, era quattro anni più giovane e i vecchi del Movimento non degnavano di uno sguardo i nuovi arrivati.
Agli altri, nati dopo o distratti, la nuova edizione del libro offre se non altro tre ragioni principali d'essere letta.
Innanzitutto, la testimonianza, le intonazioni, le parole di un'età lontana più nella realtà sociale e politica di oggi che nel tempo. Sono quelle che echeggiano nelle pagine di Martino e Signorile, certo datate, inesorabilmente, ma non inaccessibili anche per quanti abbiano meno dimestichezza con la lingua dei giovani che andavano in piazza per cambiare la società, non per decidere come passare le serate: "tutto era politica".
Poi ci sono gli interventi di Lorusso e Minerva. Brevi, essenziali, necessari, esemplari, in particolare, di come sia cambiato, evoluto cronisticamente in meglio, semplificato, diventato più accessibile a tutti, il modo di raccontare fatti, eventi e drammi come quello di Benny, di una città e di una generazione di baresi.
Infine c'è la presentazione di Nichi Vendola, partecipata e coinvolgente: "Chiudo gli occhi e mi rivedo lì, adolescente, smarrito, ferito, non solo io come persona, ma io come comunità politica ed io come generazione. A quel tempo non si usava dire 'io' appariva quasi un vizio. 'Noi' fumo risucchiati nel gorgo di quella morte 'nostra': di uno di noi, ragazzo come noi, comunista come noi, Benedetto Petrone, un ribelle cresciuto nel recinto degradato di Bari Vecchia, una passione politica spesa tra antifascismo militante e lotte per il risanamento del suo quartiere".
E continua Nichi, con la sua prosa calda e tenera come una lirica, che quasi ci fa dimenticare la verità di un cuore antico della città prima desertificato con deportazioni in quartieri ghetto di periferia, poi fatto terra di nessuno dalla criminalità organizzata. Di una sentenza che ha punito la violenza non di una "squadraccia" assassina, ma di un solo accoltellatore, mentalmente turbato (suicida in carcere nel 1984). Di una parte non minoritaria della sua città che non ha mai accettato Benny né la sua memoria pulita: "era un poco di buono, un violento, uno spacciatore" si è sentito ripetere per trent'anni con impudenza pari alla disinformazione.
Benedetto Petrone, quante volte ti hanno ucciso?
Forse è il momento di dire basta.