Lino Patruno, Alla riscossa terroni

01-05-2009
Patruno. Patrono del Sud, di Vincenzo Palmisano

Per un lungo periodo, la mia preghiera laica della domenica mattina è stata la lettura di due editoriali: quello di Lino Patruno su “La Gazzetta del Mezzogiorno”, e quello di Eugenio Scalfari su “La Repubblica”.
Dopo dieci anni di direzione della “Gazzetta” Lino Patruno ha raccolto i suoi editoriali e ne ha fatto un libro.
Il volume, uscito da poco per i tipi di Manni, è intitolato Alla riscossa terroni. Perché il Sud non è diventato ricco. Il caso Puglia. Appena l’ho avuto tra le mani, avendo già letto, ritagliato e conservato i suoi editoriali, ho prima concentrato la mia attenzione sulla prefazione di Giuseppe Vacca, sulla lunga e densa introduzione dell’autore, sulla postfazione di Gianfranco Viesti, e poi ho cominciato a sfogliarlo.
La rilettura è servita a rispolverare argomenti già noti e a stimolare nuove riflessioni e ulteriori considerazioni.
La prima cosa che ora mi viene da dire è la seguente: gli articoli di Patruno non sono per niente invecchiati, sono più attuali che mai e insieme formano un saggio sulla “questione meridionale”, il cui titolo, secondo me, dovrebbe essere La questione meridionale spiegata ai sordi, ai ciechi e ai bambini. Ovverosia, a coloro che non vogliono vedere e a coloro che nulla sanno.
Un saggio che vale più di tanti trattati specialistici, perché non è inquinato dal politichese e da insopportabili accademisti.
Patruno infatti non sale mai in cattedra, scende invece in strada e, come se stesse a tu per tu con la gente, esprime quello che sa e quello che pensa e si fa ascoltare con facilità, interesse e piacere.
Patruno non sale mai sul pulpito per fare la predica ai lettori e spargere incenso. Battagliero com’è, va sulla barricata, sguaina la spada e difende il Sud, non solo la Puglia e la Basilicata.
Lo difende da quei settentrionali che, avvinazzati dai pregiudizi, sputano veleno e seminano odio, ma anche dai tanti meridionali che con la loro apatia, i loro anacronistici campanilismi, la loro incapacità di fare squadra, il loro familismo, la loro mancanza di senso civico, il loro servilismo, la loro rassegnata accettazione della malavita organizzata, eccetera eccetera, ostacolano il decollo del Sud.
Lino Patruno non si stanca mai di gridare: «Il nemico numero uno del Sud è lo stesso Sud».
Due cose di lui mi hanno sempre colpito: la sua scrittura, il suo linguaggio e il suo atteggiamento nei confronti dei politici pugliesi e meridionali in genere.
Ai nostri Parlamentari, di Destra, di Centro, di Sinistra, Patruno rimprovera il fatto che essi votano non in favore del Sud di cui fanno parte, ma in favore dei partiti nei quali militano. Essi, spessissimo, non difendono gli interessi del territorio che li ha espressi, ma gli interessi dei partiti nei quali sono stati eletti. Che io sappia, pochi prima di lui li hanno così apertamente criticati e li hanno spronati con tanta insistenza a cambiare rotta.
Nei suoi scritti Patruno fa uso di un linguaggio speciale, inconfondibile. Un linguaggio colorito, frizzante, martellante.
Scusate la parentesi: avete mai letto la rubrica del sabato Il guastafeste e le sue risposte alle lettere alla Gazzetta? Leggeteli e scoprirete la sua fulminante ironia.
Peculiari del suo stile sono la reiterazione, la quale ha il compito di ripetere i concetti fondamentali che, come chiodi, hanno bisogno di essere ribaditi, se si vuole che entrino nella testa dei lettori e non vengano dimenticati, e una calzante, e incalzante, esemplificazione.
Perché – si chiede il giornalista – la Puglia non è diventata ricca? E giù a valanga le sue risposte: perché, perché, perché…
Una infinità di motivi.
Non so se Lino Patruno abbia mai scritto o scriva dei versi. Vedo però che quando parla dei cieli, della terra e del mare della amatissima Puglia (una ricchezza che Bossi non ha e che noi non siamo ancora capaci di sfruttare) egli raggiunge anche le vette del lirismo.