Il bambino Cavour, di Muzio Micalizzi
Può risultar difficile immaginare la sorpresa suscitata dalla morte di qualcuno, a centocinquanta anni dalla sua scomparsa. Chi oggi fatichiamo a figurarci in vita, altri in passato stentarono ad ammetterlo morto. Lo spettacolo del vigore e dell’astuzia può far immaginare deroghe a una vulnerabilità che invece appartiene in ogni istante a ogni corpo. Anche a quello di Cavour. Da capo del governo del piccolo regno sabaudo aveva contribuito a qualcosa che fino a dieci anni prima era parso impossibile, l’unità politica della penisola. Restava da fare della nazione appena nata un paese meno arretrato. Cavour muore il 6 giugno 1861 alle soglie di questa sfida. C’è un’altra cosa che oggi si può far fatica a immaginare. L’unificazione è avvenuta a spese del potere temporale della Chiesa: di suoi territori, di sue prerogative («libera Chiesa in libero Stato»). La classe dirigente della nuova nazione è formata da rispettabilissimi scomunicati, Cavour in testa. Sebbene questi voglia lasciare la vita da cristiano, che in punto di morte riceva i sacramenti non è scontato. Li avrà da un parroco di campagna, padre Giacomo da Poirino, che per tale motivo Pio IX sospenderà a divinis. Padre Giacomo è il protagonista del bel romanzo di Lorenzo Greco, Il confessore di Cavour. Basato su documenti storici quando disponibili e per il resto sulla fantasia dell’autore, il libro narra la vicenda di un uomo alla cui coscienza Cavour e Pio IX, in modi opposti, si sono rivolti: il primo, ormai allo stremo delle proprie forze, appellandosi all’autonomia di giudizio del sacerdote («a voi che di me tutto conoscete e sapete, chiedo oggi di raccogliere le vostre impressioni, i vostri ricordi... Considerateli una piena confessione»), il secondo con una richiesta di obbedienza («Quando il Santo Padre vi dice che avete sbagliato, voi non volete ricredervi?»). Il libro di Greco è il racconto di un uomo i cui valori hanno preso inaspettatamente a confliggere fra loro, lasciando la coscienza da sola a decidere a quali di essi rimanere fedele: quale sia il senso migliore da dare alla parola «fedeltà». Sono passati poco più di quarant’anni da quando in confessione, all’abate che gli raccomandava i benefici di un esame di coscienza, un bambino di sette anni aveva risposto: «questa briccona di coscienza, che non mi rimprovera di nulla!». Camillo Benso, conte di Cavour, era quel bambino.