Quanto è difficile essere un vero comunista, di Giorgio De Rienzo
Luca Canali pubblica cinque racconti della sua storia di comunista. Prima un «amarcord», quando il Manifesto di Marx si comprava in edicola, tra “Cantachiaro”, “Folla” e “Signorina sette”. Quindi l’iscrizione al Partito che porta un’incrinatura: «Cercavo il Partito della rivoluzione, trovavo il Partito delle riforme, i tempi lunghi, mentre io avevo fretta di agire, non sapevo bene per che cosa». I sogni vengono smentiti dalla realtà. Quando il compagno Luca ebbe la tessera pensava a una «severa investitura cavalleresco-proletaria» e invece si trovò coinvolto in una festa «fra uno slow e un boogie».
Ma Canali, con autoironia, addossa su di sé la colpa della propria delusione: «Portai nel Partito la mia fragilità sublimata in fanatismo, la mia approssimazione nevroticamente corretta in pedanteria, dunque già all’inizio il germe del mio futuro fallimento». È la comune (inevitabile) sconfitta di un idealista che si scontra con la realtà, attenuata però in queste pagine da una scrittura che, grazie a un’arguta ironia, sa creare bozzetti. C’è il resoconto della preparazione puntigliosa a un comizio, cancellato brutalmente dalla pioggia: «Pensavo a una comunità in attesa, non a un deserto sotto il diluvio». Ma soprattutto dopo i fatti d’Ungheria, c’è la rottura descritta con umorismo: al vertice «di un’umile carriera di militante senza intenzione né possibilità di ascesa gerarchica», il compagno Luca è «scosso per indisciplina» dalla sua «sedia di paglia» e dalla «scrivania zoppa».