Guerra di anime al tempo della guerra, di Patrizia Danzè
Nella pagina rivelatrice del bel romanzo di Luca Canali, la pagina in cui il delirio ecolalico del nazista Hans Brot, il colto e spietato tenente delle SS di stanza, nel 1943, nella famigerata via Tasso di Roma, divaga su colpe oscure e infinite da scontare per giustificare la mostruosa anànke della guerra, è racchiusa tutta la fatalità dell’inestricabile intreccio del bene e del male della storia, il congegno diabolico dell’«innocenza dei colpevoli». «Quid faciam?» urla, mentre guida febbrilmente verso Fregene, il giovane aguzzino tedesco, dotato di un grande potere in quell’anno terribile della storia italiana, ma anche misero relitto di quel mega kakòn, di quello sporco affare che è la guerra. Anànche, fatum, monstrum, la guerra, la storia: è lì che si giocano i destini dei popoli, ed è nei loro marci interstizi, nell’abbandono ai fantasmi infernali dei pensieri scomposti barattati per ideologie coerenti degli altri diventano il male abietto e ineluttabile.
Una guerra meno che mai giusta e necessaria nell’Innocenza dei colpevoli, romanzo né politico né storico e neppure «tendenzioso», come avverte Canali nella postfazione, ma certamente ‑intende ricordare l’intellettuale e il fine traduttore‑ di evidente respiro «resistenziale» in un periodo in cui è in corso un revisionismo filofascista che ha punte letterarie di indubbio valore e ricerche storiche «soggettivamente» antipartigiane. Linea costante di questo libro è piuttosto, continua Canali, quella dell’individuazione delle motivazioni (non però delle giustificazioni) sottese alle azioni del «nemico», cioè alla «ragione degli altri».
Ma sulle ragioni del protagonista, il conte Luigi Corsieri, di cui seguiamo la vita nella narrazione rigorosamente realistica di Canali (tutt’altro che immaginaria, eccettuati alcuni dettagli, alcuni personaggi e la conclusione), non ci sono che delle date (unici «titoli» dei cinque diseguali capitoli che costituiscono il romanzo) illuminanti per la storia che è principalmente una guerra di anime.
«Domine non sum dignus», sembrano gridare i filofascisti Luigi Corsieri, Guido Nutria, Olga, e ancora il tenete Brot, la spia Silvana e Furiani, il severo fabbro comunista, in quel limbo maledetto del 1943, annus horribilis per tanti, troppi italiani. Il povero Luigi si riduce svuotato e scorato a vagare per una Roma straniata, non c’è chi possa dire parola per sanare anime guaste forse sin dall’infanzia.