Lucianna Argentino, Diario inverso

01-11-2008
01/11/2008 - Via delle belle donne
I silenzi ostili dell’incomprensione amorosa, di Francesca Pellegrino
 
Lei sapeva del silenzio che sarebbe venuto poi
per questo gli chiedeva “abbassa la voce”
pensava che se le parole si fossero fatte
simili al silenzio la loro assenza sarebbe stata
più lieve, come un bisbigliare oltre una porta chiusa
o come qualcuno che senti muoversi nella stanza accanto.
“Cambia tono” diceva a lei lui che non capiva
e confuso rallentava il passo, cercava un riparo
da quell'estate improvvisa, dall'assalto dell'inatteso.
Ma fu in quella luce stinta che cominciò a sentire
che le cose a volte implodono senza implorare altro
e tornano in se stesse e stanno affini al silenzio.
Così cedette e abbassò la voce tanto che tacque.

C’e un silenzio ostile nel quale abitano le incomprensioni, qualcosa di impalpabile, oltre le labbra, che tace le urgenze dell’amore e di se. Lucianna Argentino in Diario Inverso, di quel silenzio ha fatto verità.
La sua è la voce di un’attesa sconfinatamene elusa dal reale colore delle relazioni, qualcosa di troppo diverso dal sogno: aspettative di uomini come di principi azzurri, obbligatorio retaggio culturale che le donne si portano dietro fin dall’infanzia.
Si pensi ad alcuni spot televisivi, che mostrano realta fatte di sorrisi imbalsamati, di abbracci, di famiglie perfette e di mamme che servono in tavola la felicita dentro i biscotti confezionati per la prima colazione. Si pensi ai giocattoli in commercio destinati alle bambine: ferri da stiro, bambole di neonati che piangono lacrime artificiali, sposini amorevoli di plastica e tanto altro.
Il lavoro nelle coscienze e come il lavoro dell’acqua sulle rocce: scava fin dentro i sogni e li modella a sua immagine e somiglianza, aprendo voragini di insicurezze che finiscono con l’essere “compiute” solo nel riflesso del proprio uomo.

Io sono il bianco e lui il nero
e da bianco mi avvicinai al suo nero
perché si stemperasse un poco,
perché sfumasse in una chiarità devota …
ma il suo nero ha la qualità del bianco:
riflette la luce e se ne difende
murando vivo il sole - e il mio bianco è
come il nero: assorbe la luce e se ne nutre.

La realtà è di certo altra cosa e Lucianna ce la mostra in un vissuto che sente i dissapori delle incomprensioni e ne misura i respiri con le distanze che li dividono. La consapevolezza di una prossima e possibile rottura che destabilizzi gli equilibri sui quali è basato il proprio quotidiano, e di certo il primo passo verso la pace interiore. Una precisa volontà a guardare oltre le aspettative e riconoscere a se stessi la reale incomunicabilità col partner, per accettarla e tentare di sopravviverla.
Le dinamiche che ne conseguono, tuttavia, stringono dentro un angolo le proprie incertezze ed evidenziano inesorabilmente il senso di insofferenza verso la propria impotenza. L’incomunicabilità diventa il peso più grande da sopportare e si finisce col disconoscere al tempo il suo ruolo, restando intrappolati in un limbo di vuoto in cui sia impossibile muovere alcun passo.
 
chi può dirmi chi sono
se lui non mi è più specchio?
Se di coraggio perso è il suo guardarmi
e di ritorni severi e di ritardi,
se nel suo sguardo disfatti vedo il tempo e me
me ridisegnata senza braccia.
Un sogno destinato al disincanto ed al silenzio di relazioni che corrono su binari diversi di emotività e di bisogni, restando comunque meta salvifica per proseguire il viaggio infinito che e la vita stessa.
Come se l’innocenza infantile dell’ideale d’amore, fosse il tesoro nascosto dentro i “se” ed i “ma”, sconfinando dubbi che disintegrano l’io, deformando ogni contorno. Tutto sfocia nella conseguente incapacità di reazione, vittima inconsapevole di un circolo vizioso di paure e desideri che si inseguono all’infinito e chiudono il cerchio esatto di una disperazione “senza braccia” nella quale – paradossalmente – sia ancora possibile sognare. Come se fosse la scialuppa di salvataggio per non smettere di “credere”, perdendo altrimenti la più sana delle consolazioni: la fede nel sogno.
 
Se la luce rimpiange l’ombra
eccitata da tanto vedere
è perché l’ombra smaltiva l’eccesso
ingentiliva il cinismo
traghettava in quel mare
la sua nebbia di casta consolazione.
 
La voce intimistica di Lucianna, parla dei silenzi nei quali si finisce con lo smarrire il senso reale di una relazione per l’ansia disperata di viverla. È una voce sommessa, talvolta, di donna che ricerca e ricava la propria forza dalla fragilità delle proprie insicurezze. La bellezza del suo verso e nell’integrità nella quale conserva le proprie paure e le trastulla consolandole della poesia stessa.
Come se una pioggia nuova cadesse,  purificando dove la polvere ha fatto il suo nido di dolore.
 
mi manca la poesia
nel giorno sceso in cenere
a forzare laica
la veglia stanca e irragionevole
al dio liquefatto nell’inchiostro
fatto preghiera di cose andate
e presto ritornate a nuovo uso
come la pioggia o la parola
accolta in limine
all’avvenimento che la dice.
 
29/01/2009 - beppe-costa.blogspot.com
Poeti dallo spazio, di Fabio Barcellandi
 
Diario inverso non è un viaggio a ritroso nel tempo, non è un’operazione nostalgica, di recupero di un passato mitico e felice, Diario inverso è un viaggio, un percorso in versi nel verso, in/verso. È un viaggio nella poesia, verso la poesia, alla scoperta della poesia e per questo un processo – un progresso – e non un recesso. Diario inverso è il resoconto di un percorso nel sé e non nel grembo materno che l’ha generata, Lucianna Argentino, ma nel grembo materno che ha generato e che ancora genera la sua poesia, il suo stesso grembo, generatore di poesia. È un viaggio alla radice del sé, all’origine della vita della poesia.
Come lucidamente evidenzia Marco Guzzi nella prefazione al volume: “La vera poesia contemporanea è una sperimentazione di stati interiori, una ricerca di altri punti di vista, più profondi del nostro sguardo sensoriale.”
Diario inverso non è una salita al cielo in cerca di luce, ma è, semmai, una discesa agli “inferi” per portarvi la luce che mancava, che necessitava per scoprire il cielo che vi si celava “in fieri”: lei poeta, lei a sua volta parola, nome, poesia:

Mimetizzata nelle quattro sillabe del mio nome
- oscurata la luce, sospesa la grazia –
[…] imito me stessa, ma senza ironia
piuttosto come un insetto imita una foglia.

Lei che è contenuto e contenente, lei che è nutrita e nutrimento, lei che è sostegno e sostentamento, lei che è immagine di Dio e se stessa, alla perenne ricerca di Dio che pure è, ma che non ricorda, forse.

Visito quell’altrove dove le cose si spogliano
di vaghezza per indossare una nitidezza
più prossima alla verità, ma mi strattona via
quel suo sguardo per cui dell’insieme
sono il particolare che sfugge.

Un viaggio del verso nel verso, del verbo nel verbo, verso il verbo da cui proviene, che è, che crea! Lucianna Argentino si spoglia, di ogni certezza, si mette a nudo, del dubbio, sinceramente, onestamente e pur impaurita, necessita di compiere questo percorso, di procedere in questa intima speculazione che la condurrà su sentieri invisibili, inesplorati, immanenti.

Stanotte è tutto così intimorito ed esitante
che è l’anima a chiedersi se il corpo le sopravvivrà
in quest’avvenire senza presente.

Non molto di più mi è dato di vedere
e udire da questo esiguo spazio da cui, tuttavia,
una verità senza orme circoscrive l’immenso.

Il corpo, è lei, il poeta, e l’anima, è lei, la poesia, che è poeta e poesia, che è corpo e anima, che non c’è dicotomia, che non c’è separazione, ma compresenza, compartecipazione, compenetrazione. La poesia è poeta e poesia, il poeta è poesia e poeta. Il poeta diviene oggetto della poesia, non più solo soggetto, il poeta è corpo e anima della poesia. È materia e immateriale, è terra, polvere, carne ed è aria, spirito, anima. E da questa posizione, direi privilegiata, ma nuova, sconosciuta, senza più punti di riferimento, ecco l’enorme possibilità e potenzialità di una vera ricerca, di un vero percorso, di un vero viaggio.

Chi può dirmi chi sono
se lui non mi è più specchio?

e da qui, da queste premesse, l’esigenza di un diario in cui puntualmente appuntare la genesi di un mondo nuovo, sconosciuto, il mondo poetico di Lucianna Argentino.
Un mondo nuovo da lei generato, la sua poetica, e in cui lei stessa, poi, novella Prometea, porterà la luce, la sua poesia. Un mondo senza confini, sconfinato, ma in cui ogni cosa avrà il suo preciso e puntuale posto, un mondo in cui ci sarà ogni cosa e il suo contrario, ma che non si escluderanno affatto, anzi, convivranno, coesisteranno. Bene, male, luce buio, uomo, donna, uomo, Dio, voce, silenzio, corpo, anima, paura, fede, vita, morte, bianco, nero:

Io sono il bianco e lui è il nero
e da bianco mi avvicinai al suo nero
perché si stemperasse un poco,
perché sfumasse in una chiarità devota…
Ma il suo nero ha la qualità del bianco:
riflette la luce e se ne difende
murando vivo il sole – e il mio bianco è
come il nero: assorbe la luce e se ne nutre.

In una parola: poesia, ossimora per eccellenza, per antonomasia, che tutto contiene, che tutto include senza scelta, senza giudizio, senza discrimine, senza malizia, puro, cristallino, come un bambino

C’è una chiaroveggenza possibile solo
nell’infanzia…

come un mondo bambino, in divenire, eccolo allora, il Diario inverso di Lucianna Argentino, un viaggio in avanti nel tempo.

 
13/03/2009 - circololetterarioanastasiano.blogspot.com
Coraggio ed essenza, di Giuseppe Vetromile

Sembrerebbe a prima vista il solito gioco di parole, dalla doppia interpretazione “diario inverso” e “diario in/verso”, il titolo di quest’ultimo libro dell’ormai affermata poetessa romana Lucianna Argentino. Ma se anche così fosse, e non è detto che lo sia, per i motivi che tenterò di chiarire più avanti, il fatto non produrrebbe altro che un accrescimento del valore contenutistico e allusivo dell’opera, considerato che, in poesia, è giusto e finanche normale che i termini, le parole, i versi, si moltiplichino in un caleidoscopio di significati che stimolano nel lettore ulteriori ricerche e riflessioni.
Detto questo, e mi sembra di aprire un’altra porta sull’estetica e sul modo di poetare della nostra Lucianna, io penso piuttosto che l’autrice abbia voluto sintetizzare in questo titolo davvero indovinato (personalmente ritengo che il titolo di un’opera, specialmente di una raccolta poetica, debba in qualche modo essere il “biglietto da visita”, il nocciolo, di quanto vi è esposto), il suo procedimento, il suo viaggio e la sua esperienza in questo intervallo di spazio-tempo che è addensato nel libro. Conosciamo già Lucianna Argentino per la sua proficua attività non solo di poetessa, ma anche di operatrice culturale e di organizzatrice di eventi letterari, ed io in particolare mi onoro di averla seguita dall’inizio, complimentandomi con lei per le veloci e meritate sue affermazioni che da subito l’hanno innalzata sul piano serio, serissimo, e di grande qualità, della poesia italiana attuale, avendo prodotto tra l’altro un numero cospicuo di pubblicazioni (ricordo in particolare “Mutamento”, della Fermenti, da me recensito su “Pomezia Notizie). E quindi il suo discorso continua, con questo “Diario inverso”, e c’è senz’altro quel profondo e robusto filo che lega, in ogni poeta che si rispetti, tutte le opere, tutte le poesie: poesie e libri di poesie che, come tante isole di un vasto arcipelago, sono espressioni di uno stesso tessuto, di una stessa “terra sottomarina” in perenne ribollire.
Ma veniamo al libro. L’interpretazione complessiva che ne ricavo, dopo averlo letto con piacere e sintonia, conferma la mia primaria impressione già esposta, e cioè che Lucianna non fa altro che ribadire, in un modo sempre più alto poeticamente e sempre più vicino a quella, oserei dire, perfezione di metro e di stile che caratterizza i poeti maturi e consolidati, il suo excursus nel mondo interiore, a “ritroso”, per recuperare quanto più possibile identità, risposte, verità, lacerti e brani di quella cosa profonda e impalpabile chiamata anima. Non a caso nella interessante e approfondita indagine del prefatore, Marco Guzzi, si evidenzia questa tendenza, questo tentativo di sprofondare nel mistero di sé per trovarvi “quell’altrove dove le cose si spogliano di vaghezza per indossare una nitidezza più prossima alla verità”. E’ dunque un viaggio a ritroso, dicevamo, per ricapitolare il bagaglio umano e sensoriale di sé, riportando su un “diario inverso” la propria forza, il proprio coraggio e tutta la propria essenza, non per “resettare” il proprio vissuto, ma per comprenderlo meglio e per risalire la china: “Sotto la lingua di muschio della notte / l’intimità del mattino è un abbraccio / senza il calore delle braccia / eppure tintinna e porta un tempo nuovo / a ciò che manda avanti il mondo / e al nonostante che ci fa belli”. Ed è questo solo un esempio, ma in tutte le cinquantadue composizioni poetiche che formano questo “diario inverso”, traspare evidente, a mio parere, la ricerca pertinace, lo scavo interiore, il recupero a piene mani di una umanità deflagrata, sminuita e spezzettata. E i termini sono originali, come originale e personalissima è la struttura poetica propria di Lucianna, un taglio dai toni immediati e dolcemente aggressivi, capaci di scuotere intimamente il lettore, il che è già di per sé attestazione di grande e vera poesia.
01/01/2009 - Capoverso
La dimensione confessional, di Luca Benassi
 
Lucianna Argentino ha alle spalle un tirocinio poetico di quattro libri e l'avvallo di critici importanti. Diario inverso, l'ultima fatica della poetessa romana, rappresenta un esito maturo nei temi e nel linguaggio, in grado di affrontare il tema personale del diario senza tuttavia cadere nell'intimismo, ma elevandosi in una cifra esistenziale assoluta. La dimensione confessional, che lavora sottotraccia nel tema dell'abbandono e dell'affetto mancato, si cristallizza in una versificazione epigrafica colta e lapidaria, e allo stesso tempo sensuale e dolorosa. Nella prefazione al volume, Marco Guzzi coglie nel segno quando parla del “grande travaglio della relazione fondante, della coniuctio maschile/ femminile, e quindi in definitiva del matrimonio” che costituisce il centro tematico del macrotesto. Leggere questo libro significa parteciparvi con una sensazione fisica, con la percezione netta di un vissuto che ci appartiene in senso universale. L'operazione è quella di scavo nel magma biografico pazientemente cristallizzato nel diamante del linguaggio attraverso le gigantesche pressioni della vita. Ecco dunque una poesia dell'osservazione di sé e della rivelazione, dello sguardo penetrante nel fondo dell'anima, dei meccanismi, delle misteriose ruote dentate che ne regolano le curve attraverso i percorsi della vita. Si tratta di una poesia che parla del pozzo scuro del cuore, di dimensioni rarefatte e sottili, di consapevolezze forgiate attraverso il dubbio, (“un dubbio devoto raccoglie le minuzie quotidiane”),il dolore, l'inquietudine, una poesia che coglie il senso del tempo che passa e del gesto lieve, quotidiano, la potenza di uno sguardo, il valore di un silenzio, il senso occulto di uno sguardo capace di dire più del dialogo, una postura alla guida, l'inarcarsi di un sopracciglio: Lungo il paesaggio in corsa/ - oltre il parabrezza- lui pigiava il piede sull'indifferenza/accelerava il disincanto/ - io dentro, custodivo un riparo. Ma sul vivere di ogni giorno questa poesia non si sofferma perché è pretesto (pre-testo), perché nel quotidiano cerca la traccia iridescente della propria verità esistenziale. Cerca cioè l'affondo. Fermarci, cercare la giusta distanza/ tra noi e le cose da fare/ e quelle che ci fanno e ci disfano. Ne emerge una poesia alta, nel senso medievale “altus” che indica l'elevazione nei due sensi dell'altezza e della profondità. Rispetto a tanta poesia scritta da donne, che a partire dagli anni Settanta ha fatto della riappropriazione del proprio corpo un elemento di soggettiva scoperta del mondo e della libertà, attraverso la negazione di stereotipi maschili secolari, in questa poesia il corpo sembra ritrarsi a favore di un paesaggio fatto di muta osservazione dello spirito. Ancora una volta il linguaggio si presta a forgiare la verità di un dolore, di un essere Donna che osserva il nascere della propria consapevolezza in negativo, indaga i gesti minimi della memoria dell'assenza che si fa digiuno e lucidità: Mi coglie di sorpresa il lento ritrarsi delle cose/ alla strenua avanzata degli anni/ il perdere di sapienza del corpo/ per cui preparo un'intimità più attenta/ che riconcili i gesti con l'assenza/ e tengo per mano la fede mentre negozia la pace/ con la realtà dei fatti. Perché Diario inverso? Si tratta di un “canzoniere inverso” nel senso di una descrizione tutta interiore di ciò che nell'amore separa, il tema dell'abbandono affettivo e coniugale, dell'invadere del vuoto e della verità del dubbio, come se in questo ci fosse la particella minima di un vivere quotidiano che si fa realtà dello spirito. Non dunque una tensione che parte dall'assenza dell'amato per anelarne l'unione ma un tendere al fatale distacco dopo un'insanabile rottura. L'inversione dunque ha un'origine precisa e un motivo che non sappiamo ma che riusciamo facilmente a immaginarci, un punto esatto quando compiuto è l'anno, invertita la rotta/ ed è risacca che spagina il tempo/ è cura di un dolore contento/ è linimento tardivo di un ritroso navigare/ è scoramento dell'onda che torna in alto mare ( e in questi versi, sottotraccia al tema dell'abbandono, compare il senso apocalittico del tempo che fugge, una consapevolezza di aver passato il vertice della curva della vita verso una china). Non un canzoniere paradisiaco dunque ma diabolico, perché rifugge il simbolo e cerca lo stigma. Diavolo e Simbolo diventano essenza nella loro capacità di contrapporsi, anche in senso etimologico: “sun-ballo” ciò che unisce, “dia-ballo” ciò che divide. Ma l'inversione è anche in una forma di insanabile contrapposizione: bianco e nero, due opposti che hanno come unica somiglianza la capacità di assorbirsi reciprocamente e in fondo negarsi nell'opposta speranza di luce: Io sono il bianco e lui è il nero/ e da bianco mi avvicinai al suo nero/ perché si stemperasse un poco,/ perché sfumasse in una chiarità devota.../ Ma il suo nero ha la qualità del bianco:/ riflette la luce e se ne difende/ murando vivo il sole – e il mio bianco è/come il nero: assorbe la luce e se ne nutre. Due opposti che si elevano al di sopra della biografia per narrare il senso di ogni rapporto maschio/femmina, l'incapacità di essere biologicamente separati nell'origine della vita difronte ad ogni profonda incomunicabilità e torpore affettivo macerato nel tempo. Ci sono alcuni testi che colpiscono come un colpo di stocco, in essi c'è la consapevolezza feroce della divisione, del germoglio secco e rancoroso da cui non si spera la vita: una radice breve è quanto ci ha uniti / e poi divisi – un seme gettato nei rovi/ un frutto senza infanzia. Raramente capita di leggere libri come questo che riescono ad unire tanta vorace intensità all'equilibrio del verso, alla maestria dell linguaggio, ad una versificazione lontana dagli eccessi e quasi priva di cadute. Il libro intero ha la forza e la coerenza di una freccia scagliata in pieno petto, ferita da ferita ha il sapore amaro di un dono di sangue. Ma bellissimo e infinitamente prezioso.