Luciano Aguzzi, Il trapianto dell'anima

03-09-2005

Un mondo alienato dell'anima nei racconti di Aguzzi, di Giuseppe Bonura


Il trapianto dell'anima. Questo il forte titolo di un volume di racconti pubblicato da un esordiente: Luciano Aguzzi. Ma attenzione: Aguzzi non è un esordiente totale, tutt'altro. Ha scritto libri di poesia e ha insegnato storia delle dottrine politiche all'Università degli studi di Milano. E si sente, nel senso che le sue narrazioni, questi suoi nove racconti sono densi di pensiero pensante, anche se l'ambientazione è familiare, quasi casalinga. Noi stiamo molto attenti ai poeti che esordiscono nella narrativa. In genere sanno scovare la poesia dove nessuno lo sospetta, e da un dettaglio banale sanno cavare una meraviglia. Ma Aguzzi è anche un filosofo, e allora la meditazione accompagna la poesia e la quotidianità. Il primo racconto, quello che dà il titolo alla raccolta, comincia con una scena quasi idilliaca, d'altri tempi, con una donna anziana che riflette su un «bosco di rose». Ma a un tratto, con un movimento brusco, siamo proiettati in un mondo di fantascienza che però è davanti a noi. Il tema è l'eugenetica, e tutte quelle rose sono «rose mostruose» in quanto prodotte in laboratorio. E fosse finita qui. Anche i personaggi che popolano questo racconto domestico-orrorifico sono stati clonati, e molti si apprestano ad esserlo. Ma la donna anziana, di nome Maria Assunta, resiste, ha una sua tetragona dignità, una profonda morale. Il racconto, bisogna dirlo, ricorda le utopie negative di George Orwell, con il suo Grande Fratello. Qui c'è un'entità sinistra che promette un'eterna felicità purché gli individui si facciano trapiantare …l'anima. Aggiungiamo che ci sono scimmie e agghiaccianti trasmissioni televisive, e l'orrore è completo. L'epilogo però è sorprendente, e non vogliamo rivelarlo. Per capire a fondo i temi prediletti da Aguzzi basterà citare un altro titolo: Dio è morto. Questa espressione è orma entrata nel gergo giornalistico, ma non si riesce ad afferrarne in pieno il senso. Lo scrittore ha inventato una sorta di parabola laica il cui senso, alla fine, è chiarissimo. Gli uomini adorano un masso enorme, una pietra «dura come il loro cuore». Disumanizzazione. È questa la parola-chiave dello scrittore. In una altro racconto, intitolato La serena disperazione, l'autore prende di mira una piaga del nostro tempo: il rumore. Rumore materiale e rumore spirituale, rumore esterno e rumore interno. Molti ne sono affetti e non lo sanno. e parlano, parlano, parlano. Per dire cosa? Non sentono e non si sentono. L'alienazione galoppa, dice Aguzzi.