Luigi Malerba, Il sogno di Epicuro

27-07-2008

Il riso amaro di Epicuro, di Armando Massarenti

Un modo felice di fare dell’umorismo attraverso la filosofia è sperimentato da Luigi Malerba nel racconto Il sogno di Epicuro. Il sogno catapulta il filosofo nella Roma di oggi in un dialogo con dei giovani disincantati che alla sua “atarassia” hanno sostituito varie forme di menefreghismo bello e buono, impermeabili alla sua dea di politica basata sull’amicizia e al suo invito alla moderazione. Lui stesso verrà costretto a drogarsi, e quindi a provare quel genere di esperienze che la sua dottrina sconsiglia vivamente. Prima del sogno Epicuro si trova nel suo orto a dialogare con cinque allievi. Lo chiamano «il giardino delle delizie» ma in realtà si tratta appunto di un orto. Vi si coltivano ortaggi volti a soddisfare i piaceri “naturali e necessari”, lasciando ad altri quelli “naturali e non necessari”, come il cibarsi con alimenti raffinati, e i piaceri “né naturali né necessari”, come l’arricchirsi. Mentre Epicuro impartisce questa lezione sta innaffiando filari di rape, carote, lattuga, crescione, ravanelli, sedano e altre verdure che serviranno per un banchetto. In realtà egli continua a innaffiare le verdure mentre la brocca è ormai vuota. Un allievo glielo fa notare e, anziché ammettere la distrazione, Epicuro ribatte: «Se veramente continuassi a innaffiare, il fatto che la brocca fosse vuota non sarebbe rilevante. In realtà non sto innaffiando come tu hai detto ma sto facendo soltanto il gesto di innaffiare. Insomma sto facendo un innaffiamento “platonico”. Con questo genere di innaffiamento le verdure non crescerebbero e noi finiremmo per morire di fame. Esiste una migliore dimostrazione che la filosofia deve essere tutta tesa ad aiutare gli uomini a vivere meglio, possibilmente a raggiungere la felicità e che è inutile e perciò dannosa quella filosofia che propone soltanto le idee astratte?».