Luigi Malerba, Il sogno di Epicuro

27-06-2008

Un sogno amaro, in una Roma senza ideali, di Giorgio De Rienzo 

I giovani credono che sia uno di «Comunione e Liberazione» e poco gli danno retta. Gli mostrano brutalmente come il suo pensiero sia stato stravolto. «Si direbbe che ogni cosa che io dica posso essere usata per uno scopo opposto a quello che io propongo, a vantaggio dei peggiori uomini del mondo», conclude Epicuro amaramente.
L’editore Manni manda in libreria lunedì 30 giugno un testo di Malerba scritto per la radio e mai pubblicato. Risale ai primi anni Ottanta: è dunque contemporaneo delle Galline pensierose (1980) e del Diario di un pensatore (1981). Proprio di sogno qui si tratta: Il sogno di Epicuro. Il filosofo è ritratto nel suo orto ad annaffiare le verdure e discetta con tre allievi, due giovani e una ragazza, prima di andare con loro a cena. Beve con loro, «china la testa sul tavolo e si addormenta».
Inizia il sogno. Epicuro «fa un balzo nel tempo di duemila anni e arriva nel mondo di oggi». Si trova a Roma, legge scritte di violenza sui muri sobbalza al passaggio di un automobile, sbarra gli occhi al passaggio di una gigantesca motocicletta», che scambia per un centauro con le ruote, alza gli occhi al cielo per ammirare un aereo, ma è costretto anche a vedere a terra «cumuli di spazzatura, cartacce, cassette di verdura, bottiglie vuote, sacchetti di plastica». Arriva in Campo dei Fiori e trova un gruppetto di giovani sotto la statua di Giordano Bruno. Come se fosse nel suo orto in Grecia parla loro da maestro, anche perché tra i giovani appariranno i suoi antichi allievi.
Sono ragazzi invecchiati precocemente. Usciti sconfitti da una stagione di impegno, cercano ora rifugio nella droga. Epicuro ha un bel dire che la «politica» va abolita e che la sola forma di Stato è quella «tenuta insieme dall’impulso naturale dell’amicizia».