Luigi Malerba, Il sogno di Epicuro

27-06-2008

Come l'Epicuro di Malerba conquistò i fricchettoni romani di Campo de'  Fiori, di Antonella Barina

Una serie di «incontri impossibili»: quello tra l’Innominato e l’Uomo Invisibile, tra Sancho Panza e Anna Karenina, tra Turandot e Bertoldo, tra l’Otello di Verdi e quello si Shakespeare… Brevi dialoghi – bizzarri, visionari – che Luigi Malerba scrisse per il teatro alla fine degli anni Settanta. E che, rappresentati in palcoscenico, non sono però mai stati pubblicati.
Solo ora uno di quei suoi randezvous surreali, Il sogno di Epicuro, che Mario Scaccia mise in scena tanti anni fa, viene portato in libreria: l’incontro paradossale tra il grande filosofo greco e un gruppetto di tossici dei nostri giorni. Perché Epicuro si addormenta (complice il vino) parlando ai suoi allievi e in sogno vola nella Roma del XX secolo, con uno sbalzo di più di duemila anni. Ed eccolo a Campo de’ Fiori, tra fricchettoni e coatti, che sobbalza a ogni clacson, trasecola alle sigarette, assaggia sospettoso la pizza («La vuoi banca o rossa?» « C’è anche colorata?»).
Intorno a lui, i giovani alternativi di trent’anni fa (per cui la barba lunga e la tonaca di Epicuro possono sembrare alla moda). Grande saggio e sballati tutti lì a discutere di politica e impegno, ma soprattutto di piacere. La sapienza del filosofo «per piacere non intendo quelli della crapula, ma il non avere dolore nel corpo né turbamento nell’anima» contro l’ebbrezza fatale della droga pesante.
Un divertissement amaro che lo stesso Malerba, prima di morire, ha ripreso e ritoccato, trasformando il testo teatrale in racconto per darlo all’editore Manni: sedotto dalla sua nuova collana Chicchi, snelli librini neri in odore di bibliofilia.