Tra Epicuro e Malerba, di Roberto Barbolini
«Per caso eri all’ultimo festival dell’Unità?» «No.» «A Orvieto per l’Umbria Jazz?» «No.» «A Montalto di Castro per la manifestazione contro la centrale a carbone?» «No. Sono arrivato oggi.» Chi risponde così alle futili domande del suo studentesco interlocutore sarà anche arrivato oggi, ma di sicuro non è nato ieri. Si tratta, nientemeno, che del filosofo Epicuro (341-271 a.C.), nome illustre dell’Ellenismo greco, viaggiatore onirico nella Roma dei giorni nostri.
Sconcertato, sorpreso? Macché. Magari gli manca un filino d’aggiornamento, non conosce la pizza o il principio d’indeterminazione di Werner Heisenberg, ma questo non basta certo ad appannargli la lucidità del ragionamento, né a fargli perdere l’atarassia, la calma del saggio che domina le passioni e non si lascia turbare dal caos della frenetica modernità.
Il sogno di Epicuro, in uscita il 30 giugno nella collana Chicchi dell’editore Manni, è l’ultimo scritto consegnato alle stampe da Luigi Malerba prima della sua scomparsa, a 81 anni, l’8 maggio scorso. Mentre per settembre Manni annuncia Parole al vento, raccolta di interviste allo scrittore corate dalla figlia Giovanna Bonardi, vale la pena di godersi questo estremo apologo dell’autore della Scoperta dell’alfabeto.
Non lasciatevi ingannare: anche quando se la prende con il «vuoto annaffiatoio» della filosofia di Platone, o si proclama padre dell’atomo in barba a Democrito (quel «mangiatore di lumache»), l’Epicuro malerbiano sta parlando di noi e per noi.
Lo fa con la voce ironica e pacata d’un vero scrittore, ma questo lo sappiamo: lodare Malerba è come portar vasi a Samo, non a caso patria di Epicuro.