Luigi Malerba, Parole al vento

27-10-2008
Malerba, parole al vento che lasciano il segno, di Renato Minore
 
L’intervista è un genere giornalistico che come altri, più di altri, può usurarsi e corrompersi per l’abuso spesso selvaggio che se ne fa. Nel caso di Parole al vento le ‘parole’ dette (anzi scritte) da Luigi Malerba dal 1969 al 2008 in una sessantina di interviste non solo acquistano ancora senso nella rilettura, ma si dispongono in un vero e proprio ritratto postumo davvero significativo dello scrittore parmense attraverso le risposte che egli preferiva sempre scrivere, anziché improvvisare per l’intervistatore di turno. «L’oralità non è mai stata il suo forte, lo ha sempre agitato rispondere, ricevere domande dirette a cui dover replicare», ricorda la figlia Giovanna Bonardi curatrice amorevole ed eccellente di questo corposo volume che il padre ha seguito quasi fino alla fine (Malerba è morto nel maggio di quest’anno) definendolo un «mio libro, a tutti gli effetti, da inserire nella mia bibliografia».
Dai romanzi storici e contemporanei ai racconti lunghi e brevi (genere per lui più che eccellente), alle fiabe per ragazzi, Malerba è scrittore che colpisce sempre, per il piacere, il sommo divertimento della lettura che lo ha sempre accompagnato dai tempi di Salto mortale e Il serpente fino a quel piacevole capolavoro della sua maturità, Il circolo di Granata, dove mescola e cuce realtà e visione, comicità e allucinazione in un sapido e stralunato apologo stretto nel dubbio della «stranezza del mondo», della sua «totale insignificanza». E dentro quel piacere, di cui il secolo passato è stato piuttosto avaro, con la stralunata ironia spalmata un po’ ovunque si amalgamano la surreale vis comica come strategia di svelamento dell’assurdità del mondo e del linguaggio e la prodigiosa capacità inventiva e di immedesimazione nei personaggi più disparati. Soli e solitari, con un’identità assai poco definibile, si muovono soltanto con la beffa e la menzogna, «sento di essere al centro di qualcosa che non conosco, io sto lì al centro, ma non so al centro di che cosa mi trovo», dice la voce folle di uno dei suoi primi personaggi.
«Non appartengo alla tipologia degli scrittori autobiografici, scrivere per me è un esercizio mimetico per cui mi identifico con i miei personaggi solo per il tempo della scrittura perché spesso si tratta di loschi figuri, assassini, perfino un cannibale», si confessa Malerba a Grazia Cherchi, uno degli intervistatori (quasi sempre scrittori e giornalisti ben noti come Mauri, Orengo, Zincone, Petrignani, Rasy, Bonura, Almansi, Cotroneo, Vaccari, Nei) in una conversazione tra le più intense del libro. Che tocca moltissimi argomenti, tutti sagacemente disposti come a raggiera per meglio illuminare il gran ventaglio dei temi di volta in volta affrontati: le idee sulla letteratura, il mestiere dello scrittore, i vari libri, la critica, il gruppo ’63, l’editoria, i premi, l’ambiente, la scienza, i ragazzi, la storia, il sesso, il privato. «La scrittura – dice Malerba – è per me la verifica del mondo come il microscopio lo è per il chimico e l’analisi lo è per il fisico». E ancora: «Ho sempre considerato la mia attività di scrittore come un viaggio in paesaggi di parole e di idee, esteso dall’interno di un personaggio alle circostanze e alle contraddizioni del mondo nel quale viviamo, con intermezzi storici come esemplificazioni in aree temporali e in contesti sociali resi risonanti dalla lontananza».