Circa due anni fa Luigi Malerba consegnava a sua figlia Giovanna un archivio straripante di interventi, risposte a questionari e interviste. Rilasciate a partire dall’esordio narrativo, le interviste - realizzate dai migliori giornalisti culturali del paese - hanno accompagnato l’uscita di ogni libro di Malerba, e per certi versi ne costituiscono un diario in pubblico (negli ultimi mesi di vita attentamente ritagliato da lui stesso). Certo non mancano sguardi all’interno dell’officina ma è un altro, mi pare, il senso del libro che esce ora da Piero Manni, il quale ha avuto pure la ventura di dare alle stampe proprio nei giorni della morte di Malerba, caduta l’8 maggio scorso, un suo divertente racconto disperso, Il sogno di Epicuro. [...] Il maggior phare, tra quelli citati da Malerba (ché ce ne sono, ovviamente, anche di disconosciuti e occultati), è senz’altro Italo Svevo. E somiglia molto alla confessione di Zeno Cosini al «dottor S.» il modo che ha Malerba di rispondere (sempre per iscritto, testimonia Giovanna: che fa bene a considerare questo, a tutti gli effetti, un libro di suo padre; nonché, aggiungo io, il migliore fra i suoi ultimi). Le verità risultano dall’incrocio e dai lapsus dei suoi depistaggi, delle sue sempre ironiche mistificazioni. Le quali sono dunque sincere, così come gli altri suoi libri, in quanto riproducono la sfuggente e «inverosimile» contraddittorietà del reale: «A me succede per esempio, dopo aver fatto una affermazione, di venire dal sospetto che possa essere vero anche il contrario. Questa è una delle ragioni per cui ho scritto pochi testi di carattere saggistico».