Luigi Natale, Orizzonti sottili

14-06-2005

Il canto dell'anima di Luigi Natale, di Gianni Di Fusco


La cadenza è un valore estetico, cioè testimone di bellezza, e Luigi Natale ha cadenze come scansioni di un canto dell’anima. Questa prima impressione nasce, con assoluta evidenza, già dai versi iniziali della sua ultima raccolta Orizzonti sottili (Manni editore). Poesie datate e luoghizzate con il palese intento di una cronologia salvifica di contesti e di emozioni, di precise evocazioni da strappare alla dirompente cancellazione del tempo, sempre inesorabile. Come una necessità di riavere intatte visioni e liriche esaltazioni nei ritorni scarni della rilettura e della quotidiana ricerca di sé. “I volti di gelsomino e mirto/ rimarranno nella luce che non grida…” “Sciolto viso scagliato nel tempo/ imbevuto di memoria stanca…”.
Ma la prima impressione è subito arricchita dal profluvio dei mezzi immaginifici, che sigillano la sua scelta linguistica con una visionarietà inconfondibile, talvolta incontrollata. Il dire diventa libertà d’accostamenti e di invenzioni sintagmatiche fino a una apparente licenza di gratuità espressiva, si direbbe di stampo surrealistico. Più evidente nelle composizioni degli anni ’90, più controllata in quelle posteriori. “Così il cielo col suo borgo di lupi/ bivacca sull’eco dei fondali…” “…la poesia non vorrà abbazie/ per il fruscio dell’anima…” “In un campo di lillà/ è rimasta la tua voce…” “Lungo le strade è silenziosa/ l’arpa eolia…” E gli echi quasimodiani di quest’ultimi versi possono offrire una chiave di accostamento emotivo a una qualità poetica così tenacemente elaborata e variata. Come non mancano qua e là note montaliane (“Sono un naufrago/ parola sfinita…” “Tu esiti vita accanto/ alla goccia che disegna l’autunno) e di un luziano, dallo stesso autore confessato, retaggio (“Girate in quell’ora acquattata/ che tutte le imposte sono chiuse…” “In un altro giorno di gracili millenni/ tu guarda se di tanto viaggio che moriva…”). Poesia moderna, ma segretamente antica, proprio per la ricchezza dei toni e la contabilità dei lirismi, e delle larghe vaghezze ai rapimenti. È per quel tanto di “terrestrità” storico-costumale che riporta alla luce infanzie isolane (la sua Sardegna), con rimpianti appena velati e celebrazioni di figure e paesaggi dal nitido rilievo, e che ripropone pregnanti suggestioni di viaggio con impressionistici riquadri e tocchi pennellati di memoria.