Luigia Sorrentino, La nascita, solo la nascita

25-06-2009
Arcipelagolibri, di Alberto Toni
 
Nella nuova raccolta di Luigia Sorrentino La nascita, solo la nascita (Manni, 84 pagine 10 euro), la poesia procede per accumulazioni. Maurizio Cucchi nella prefazione parla di “presenza materica al tempo stesso compatta e ferocemente inquieta”. Un mondo densissimo nel suo farsi e disfarsi, un mondo che sfugge a qualsiasi tentativo di comprensione immediata: “la mente filtra e conserva / e allora la visione è questa”. I versi si stringono e si distendono a formare spazi di senso, vere e proprie visioni, ma sempre concrete, di terra, di materia: chi parla racconta della nascita e del suo destino di guerra nel mondo. Una “burrasca nelle orbite”: uno sguardo in cui perdersi e poi cercare di ritrovarsi. La poesia, insomma, nella sua “irriducibilità”, intesa come forza propulsiva delle parole. Ma il denso parlare della Sorrentino non si perde nell’esercizio. Anzi, la sua forza espressiva sta proprio nel veicolo della lingua, nell’uso piegato a un discorso che assume sempre più le caratteristiche di un flusso ininterrotto di dialogo con le cose. E allora la materia viene evocata, ad esempio, attraverso i suoni, una consonante vibrante come la erre che riconduce al dramma e alla pietà: “qui vicino ai morti l’ordine della vita addossata / al marmo”; ma anche le allitterazioni e le atre figure di suono. Per una strana coincidenza terra fa rima con guerra, ma anche nascita con morte, in una poesia a fine verso, accostamento di inizio e fine, o forse soltanto di due estremità che coincidono. In “questa infuriata materia”, per usare il titolo di una sezione del libro, la vita appare difficile, scavata nella pietra, perché “a forza devo liberarmi dalla nascita”. Scrivere è compiere l’immersione nella materia, tentare di dare un volto alla vita, tra i vivi e i morti, i presenti e gli scomparsi, appena riconoscibili. Il lettore è preso dal fuoco vibrante, ne esce alla fine come attraversato da un vigore misterioso.