Poeti e poesia, di Alessandra Peluso
È in attesa di un nuovo inizio Marcello Buttazzo e lo evidenzia con la silloge “E l’alba?”, pubblicata da Manni Editori, con una prefazione di Vito Antonio Conte che osanna il poeta, l’uomo e la poesia di Marcello. E infatti va’ letto ogni verso di questa preziosa raccolta poetica, e in ognuno di essi si avvertono l’umanità, la dolcezza, l’amore per la Natura, per l’altro.
Marcello Buttazzo canta l’amore e lo fa con gli occhi profondi dell’anima, lo sviscera in ogni maniera. È dolce la poesia e al lettore appare come zucchero filato, delicato a tal punto che le ferite, il dolore non pesano, ma anzi, la sofferenza viene accolta come un fanciullo piangente. Un bambino dunque, che l’autore osserva puntualmente, ama, si rivede e coglie quella spensieratezza e profondità che a Marcello Buttazzo appartengono, e alle volte, però, sono velate da una coltre di malinconia.
Ne “E l’alba?” si dipanano i cangianti colori della natura, i germogli, le rondini che volteggiano, la voglia di fioritura, di rinascita, la vita è una primavera. Questo, sì, vorrebbe Marcello Buttazzo che ogni esistenza sia una primavera, ogni vita sia una nascita, non vede fine, non percepisce la morte, c’è sempre un inizio. Una speranza, oltre ad essere un desiderio, un’esigenza, cosicché tutti possano amare la vita “in fiore, come una chitarra gitana di infinite parole”.
Non c’è ridondanza nei versi, poche figure retoriche, e poca punteggiatura perché la poesia deve essere gustata senza pause, e l’appetito vien leggendo forte e incontrollabile. Si osserva la ricercatezza delle parole e il gioco spontaneo che ne fa con queste, e si legge: «La notte rosseggia, / ciliegia d’inesausto sapore. / Fanciulla occhi di mare, / sangue fluente di donna. / Sulla piazza / s’apre la notte / di rame e smeraldo». (p. 64).
La preziosa poesia cesellata ad arte da Marcello è intrisa di un lavorìo attento ad ogni venatura, proprio come il falegname nel lavorare il legno. E infatti Marcello Buttazzo s’ispira al poeta salentino Saturnino Primavera, falegname e poeta degli ulivi come è stato definito da Maurizio Morello (Nazione Indiana, 20.03.2007). Così si legge: «Canta il merlo / nella fitta boscaglia. / L’albicocco / promette di vestirsi presto / di sposa. L’alba / ancor m’abbarbaglia» (p. 42); e ancora: «Il tempo / è una foresta. / Né lame nel cuore / né chiodi cruenti. / Né momento / di sospesi sospiri, / né spazio / di tumultuosi tormenti». (p. 43).
Ecco che il poeta in questione germina fiori che si vedono a primavera, bellezza di colori e odori, irradia luce ed ogni cosa maldestra resta in penombra perché l’alba c’è, si vede, si sente, anche se Marcello non conferma ciò, ma accosta un tiepido punto interrogativo, retorico, forse, perché il lettore si accorgerà che nella silloge “E l’alba?” non ci sono punti di domanda, ma un’affermata e confermata poesia.