Marco Codebò. Appuntamento

01-06-2010
Il lettore come protagonista, di Valeria Pighini

Il mistero di una morte inspiegabile, un detective di professione e un professore curioso, due storie parallele che s’intrecciano sul filo della suspense seguendo le impalpabili tracce di un libro incompiuto tra l’Italia e l’America delle grandi occasioni. Da una parte la Liguria, pigra e crepuscolare, accoccolata tra le montagne e il mare, dall’altra la California, con le sue strade sconfinate, le metropoli, le contraddizioni e i panorami che mozzano il fiato.

Questi, gli ingredienti che fanno di Appuntamento di Marco Codebò un’opera assolutamente unica nel suo genere, un’opera che si nutre delle ispirazioni più dispariate e le rielabora in modo originale e personalissimo.
Nato a Genova, Marco Codebò insegna lingua e letteratura italiana alla Long Island University, nello stato di New York e proprio questa dicotomia, questo continuo peregrinare tra due continenti, così simili e così diversi, influenza il suo stile e il suo modo di vedere e interpretare la realtà.
La bonarietà di Maigret, l’astuzia sorniona di Montalbano, ma anche le macchiette disincantate di Andrea Vitali, c’è proprio tutto in questo libro, tanti elementi che si fondono, tenuti insieme dal collante di una trama che avvince fino all’ultima pagina nonostante la conclamata fragilità e la voluta incompiutezza.
 
L’Aurelio Mannini lesse un po’ di posta elettronica, cacciò nel cestino la spazzatura digitale, rispose ad una serie di coniugi in ansia che volevano sapere, così ancora senza impegno, quanto sarebbe costato dare un’occhiatina al partner, chiuse il Mac, diede una voce alla Paolina e scese in piazza Banchi. Tagliò per Canneto il Curto fino in San Lorenzo. L’Assinvita era giusto dopo la cattedrale, passeggiata ideale per avviare una nuova settimana lavorativa”.
 
Aurelio Mannini è una persona tranquilla, una persona come tante. Si guadagna da vivere scavando dentro le esistenze degli altri, il suo compito è quello di portare alla luce gli “scheletri nell’armadio”, è un investigatore privato e quando il piccolo imprenditore Saverio Pari muore per un infarto improvviso, Massimo Lombardo, titolare dell’Assinvita, la compagnia di assicurazioni per cui l’uomo aveva stipulato una polizza, gli chiede di indagare. Un lavoro semplice, pensa il Mannini, un pro-forma più che altro, roba di due, tre giorni al massimo.
E invece…
 
Invece si scopre che Saverio Pari di cose da nascondere ne aveva eccome e che quella morte, che inizialmente sembrava solo una tragica fatalità, forse è solo la punta dell’iceberg, l’ultimo tassello di un enigma che trova le sue radici e le sue risposte in un passato lontano, insabbiato, un passato che riaffiora, riportato a galla dalle pagine di un giornale, da una fotografia sbiadita, rosa dai morsi del tempo. E più ci si addentra nella ricerca, più la ricerca coinvolge e stravolge il precario equilibrio di una vita  altrimenti tranquilla.
Mogli, amanti, baristi, banditi e rivelazioni che fioccano davanti ad un buon bicchiere di vino, mentre il tramonto s’infrange sulle colline, ricoprendole con la sua ombra rossastra; questa storia ha tutto il sapore amarognolo e i colori sfumati dei gialli di provincia, quei gialli che profumano di ricordi e raccontano di indagini che procedono lente, tra silenzi e sussurri, omertà e siparietti comici, quei gialli di cui il lettore non può non innamorarsi perché parlano di una quotidianità che è anche sua, di una vita che è anche  sua e dunque egli vi si identifica e simpatizza con i protagonisti, chiunque essi siano.
 
Ma Marco Codebò va oltre tutto questo, supera i confini della narrazione e ci sorprende, spezzando la trama a metà e rivelandoci che quello che avevamo imparato a conoscere non è altro che un’illusione. Lo scenario si sposta e scopriamo che ciò a cui ci eravamo appassionati non esiste, è solo il frutto della fantasia di uno scrittore, uno scrittore emergente, uno scrittore scomparso nel nulla per giunta…
 
Un romanzo nel romanzo dunque, oppure no?
Forse c’è dell’altro, forse è tutta una finzione inscenata ad arte per proteggere una verità inconfessabile, un segreto che deve restare nell’ombra, ma che, allo stesso tempo, chiede con insistenza di essere rivelato.
A metà fra thriller e noir con qualche simpatica spruzzata di commedia, il libro si presenta come un interessante esercizio di stile, disarmante nella sua semplicità, eppure estremamente complesso: una serie di messaggi da decodificare, nascosti tra le frasi, tra le parole che sfuggono, che si perdono, una continua scoperta che si scompone e ricompone man mano che il racconto procede e sembra avvicinarsi alla fine.
 
Un linguaggio sperimentale, una scrittura rapida, schietta, colloquiale priva di inutili orpelli, caratterizzata da una voluta povertà di punteggiatura, pochi incisi e dialoghi brevi, un flusso di coscienza che si snoda pagina dopo pagina regalandoci un’esperienza di lettura unica. E se nella prima parte, a dominare sono l’aspetto narrativo e quello descrittivo, nella seconda la riflessione prende il sopravvento e l’autore ci offre un appassionato e accorato elogio di quell’arte della memoria che ognuno dovrebbe imparare a coltivare, quell’intima dimensione del ricordo che accomuna ogni essere umano e ci rende vivi giorno dopo giorno.
 
La scrittura diventa strumento di lavoro, strumento di indagine. Il lettore è chiamato al difficile compito di analizzare e interpretare i fatti aiutando i personaggi a sbrogliare la matassa di dubbi che aleggia sulla trama e diventando egli stesso un personaggio del racconto. È chiamato a far luce sui molteplici indizi disseminati nel testo, a ricomporre il mosaico, a trovare le risposte, ma anche a porre le domande.
Ed è questa la cosa straordinaria, il ruolo assolutamente centrale che il lettore assume, è lui il vero protagonista, un protagonista inconsapevole e, proprio per questo, meravigliosamente imparziale.