Marco Codebò. Appuntamento

01-06-2010
Una costruzione senza tregua decostruita, di Mario Lunetta

 

Quasi dispiace tentare di (ri)mettere su un piano di plausibilità consequenziale il macchinario logico di un giocattolo feroce e abilissimo come Appuntamento di Marco Codebò (Manni Ed. 2009, pp. 108, € 12,00), tanto aberranti (in senso etimologico) sono le piattaforme che lo compongono – o lo scompongono – al modo di un multistrato dai ripiani che slittano in continuazione l’uno sull’altro.
Una strategia di ribaltamento della prima piattaforma proposta che presenta una faccia opposta? O non piuttosto una cancellazione reiterata che tanto somiglia a un raschiamento di palinsesti con relativa riscrittura? Il meccanismo canonico del giallo, si sa, prevede la pena (del lettore, anche) e la catarsi (del lettore, anche), con lo svelamento del colpevole, alla fine di una più o meno faticata odissea. A Codebò, soprattutto interessato al gioco delle strutture de/narrative e alla verifica consapevole di uno stile che sfida in continuazione se stesso, tutto ciò non può interessare che come ipotesi parodica per una narrazione impassibile, cinicamente paradossale, al limite di un umorismo che non conosce pietà.Così, le carte, i “documenti” vengono continuamente sparigliati, cambiano i tempi dell’azione, cambiano i luoghi. Da Genova alla Riviera, fino alla California losangelina. E cambiano le persone e le facce, i ruoli e i desiderata. Si parte da un repentino decesso di tale Saverio Pari, ricco titolare di una catena di agenzie immobiliari e di una polizza dell’Assinvita. L’inchiesta sulle cause della morte è affidata al detective Aurelio Mannini, attento ai dettagli ma ancor più alla buona qualità della sua nutrizione. Dandosi da fare con discreto impegno, il Mannini entra in amichevole contatto sia con la vedova che con l’Edvige Vialli, segretaria-amante del defunto, e scopre che la ragione evidente dell’infarto che ha ucciso il Pari è nell’irresistibile splendore di quest’ultima che pure non risulta l’”utilizzatrice finale” della scarsa potenza fisica dell’amante, dal momento che – come emergerà in seguito – l’imprenditore è morto durante un incontro sessuale con una prostituta sudamericana. Il Pari è al corrente delle sue precarie condizioni di salute (problemi coronarici, pressione arteriosa elevata), e tuttavia, malgrado i reiterati avvertimenti del medico suo amico, non prende precauzioni: anzi, ci dà dentro sempre più, come in una sorta di ossessione erotica autodistruttiva. Una volta chiarite le cause “tecniche” dell’infarto omicida, al detective Mannini interessa scoprire le ragioni profonde di quella che sempre più gli appare una volontà di auto annientamento: e una fotografia su un giornale, risalente a una vicenda di sangue di ventitre anni prima, gliela chiarisce violentemente. La radice di quel malessere tanto profondo risale all’adolescenza, durante la quale il Pari è stato ristretto in riformatorio, e a torbidi fatti successivi nei quali è stato implicato dal fraterno amico Roberto Mantovani, malavitoso di un certo rango, “venduto” dal Pari e supposto (erroneamente) morto in uno scontro a fuoco coi carabinieri. Da qui  hanno avuto origine le fortune dell’imprenditore e insieme il suo devastante senso di colpa.
 Il teatro della seconda parte del romanzo è Los Angeles, ambiente universitario. Vi sono coinvolti il professor Dossena, illustre studioso di estetica, e il suo maestro Boskov, in gioventù frequentatore del grande Jurij Lotman nel tentativo di diventarne il delfino, nonché calciatore nella Giovanile della Dynamo. In quanto brillante scrittore di gialli a tempo perso, a Dossena appunto Margaret Mancini (già Natasha Lotman, che ha sposato il famoso semiologo a scopo di vendetta omicida, in quanto quest’ultimo avrebbe forse ucciso il padre della donna) affida il manoscritto di Appuntamento, di cui è autore il suo compagno Vittorio Carboni, sfortunato aspirante sceneggiatore hollywoodiano inspiegabilmente scomparso da qualche tempo. Il testo, alquanto confuso e non poco dilettantesco, abolisce gli steccati tra realtà e fiction, vissuto e invenzione, e impasta nel suo frullatore lembi di antica realtà, episodi realmente accaduti, personaggi che possono anche chiamarsi Aurelio Mannini, Roberto Mantovani riciclato nel barista Bob, ecc.
Lo sviluppo del romanzo di Codebò è a questo punto una catena di quiz, una collana di enigmi. Si susseguono ambigui messaggi à clé, che restano ovviamente metafore mute. Ma è interessante e gustoso assistere all’intelligente distruzione dell’Ideologia del Thriller che dall’interno effettua il narratore in persona di Dossena (“Dunque tu conosci la mia teoria del romanzo incompiuto che chiede la collaborazione del lettore per essere portato a termine…”; e Boskov ribadisce che “i libri parlano dei loro lettori, mica dei personaggi”): coincidente alla fine con la riconosciuta primazìa della morte, che ci si può anche illudere di depistare ma che invece tiene sempre fede ai suoi propositi con implacabile puntualità, come ricorda anche il citato apologo talmudico o sufita dell’Appuntamento, ripreso poi nella modernità da scrittori come Maugham e O’Hara (nel celebre Appuntamento a Samarra). E’ chiaro che ciò che in primo luogo interessa a Codebò è la crudeltà irrisolvibile del gioco apparizione-sparizione che realizza una sorta di teatro delle ombre che lasciano dopo il loro sparire tracce sempre più confuse; e d’altra parte la padronanza retorica da gran croupier, che alterna stile velocemente cronistico e soluzioni gergali, botte teoriche e lampi erotico-sanguigni in una lingua di assoluta vitalità e assoluta precisione. Appuntamento, che reclama naturalmente la collaborazione del lettore come regista e interprete, e rivela a ogni piè sospinto la sua bella natura artificiale e irridente, la sua azione da bussola (volutamente) disorientata nella confusione dell’oggi, conferma la qualità molto forte di una scrittura di estrema consapevolezza, nella quale il ritmo e il montaggio meta-temporale sono forse gli elementi che maggiormente scandiscono una costruzione senza tregua decostruita.