Il Salento magico che fu riflesso in occhi di ragazza, di Giacomo Annibaldis
Ci sono manoscritti che viviono esistenze carsiche ovvdero naufraghe, prima di nascere al mondo come libri. Vite misteriose, capaci di suscitare interrogativi anche a distanza di decenni, di proiettare ombre e riflessi (e non solo letterari), e di scintillare emozioni.
E' il caso di La leggenda di domani di Maria Corti, un romanzetto che la scrittrice cercò di pubblicare insistentemente dopo il 1945 (la prima traccia si ha nel '47); e che poi si "rassegnò" a conservare nei suoi cassetti. Un manoscritto che era stato infine destinato a un immaginario archivio documentario, come è giusto che avvenisse per una studiosa che si era battuta una intera vita per costituire un Fondo dei manoscritti di autori a Pavia.
Ancora oggi La leggenda di domani risulta gradevolissima lettura; pagine carezzate dai venti che soffiano sulle coste salentine, aromatizzate dai cespugli di finocchio selvatico, popolate da vite minime sul cui capo "lentissimo cammina il mondo degli astri e la sua sconcertante etetrnità". E' la storia di una ragazza milanese fuggita da un monastero leccese, in cui era ospitata come orfana, e accolta da una famiglia di pescatori salentini; finché non incontrerà l'amore di un ingegnere nordico, venuto in Puglia a costruire la strada verso la modernità.
Quindi La leggenda di domani è un'opera giustamente riesumata, e non solo per le ragioni filologiche espresse nella Premessa da Cesare Segre e nella Postfazione da Anna Longoni.
I due studiosi si domandano perché Maria Corti non volle più, anche quando fu considerata la "signora delle lettere italiane", pubblicare La leggenda. E ravvisano i motivi di una insoddisfazione stilistica, che in quegli anni indurrà la studiosa a definirsi "una piccola catecumena della scrittura quale io ero allora". Molti temi di questo "esercizio privato" (cui però la Corti aveva creduto fino al 1949...) furono ripresi e magnificamente sviluppati nel romanzo capolavoro della semiologa milanese, adottata in Salento: L'ora di tutti del 1962, il racconto molto bello sulla Otranto del 1480, città assalita dai turchi e martirizzata. La leggenda ne fu dunque un prodromo. Non privo di accenti autobiografici: e anche ciò deve aver scoraggiato l'autrice.
Il lettore si convincerà di un'altra ragione fondamentale per cui il romanzetto non poteva soddisfare una filologa. Ed era l'incipit pretestuoso. Come abvrebbe mai potuto una ragazzina - anche negli anni 40 - fuggire da un monastero ed ottenere da un istituto giuridico occidentale di viviere, minorenne, in una famiglia raccattata sugli scogli? E senza che le monache ne denunciassero la sparizione, senza che venisse stigmatizzata la sua situazione di "affidata"?
Il romanzo soprassiede su questi accidenti. L'autrice non era interessata a dirimere questioni di verosimiglianza giuridica, ma - attraverso gli occhi di una ragazzina del nord - intendeva far immergere il lettore nello stupefacente scenario di una Puglia magica, proiettata sui limiti del mare come un orizzonte, "una linea dell'ignoto, che ciascuno attraversa secondo le possibilità della sua fantasia". Su questo mare, in cui "i pesci ballano la pizzica pizzica" già negli anni 40, in cui il pescatore mastro Oronzo ci parla "con una sorgiva calma tra le spalle", sciorinando il suo catalogo di detti marinari, enciclopedia sapienziale ("Viene mezzogiorno e pure il mare, adesso, si vuole riposare"; "Quando è tramontana si pesca bene verso Tricase e Castro; quando è scirocco stanno bene quelli di Otranto"; "ogni legno ha il suo fumo"...); su questo mare si possono raccontare le storie, come si rammenda una rete di pescatore: sentendo "le risa silenziose dei pesci, fuggiti tra una maglia e l'altra, con un guizzo sottile".
La stroria approda sulla terra con la risacca, attraverso le leggende. E sono i morti annegati che ritornano la notte con "in cima alle dita bianche il senso di una gioia perduta"; è anche la Torre delle serpi, rettili colpevoli di aver succhiato tutto l'olio dei fanali, impedendo alle vedette di avvistare l'arrivo dei turchi; ovvero la leggenda della ragazza partita nel '500 per la Spagna, innamorata di un soldato, e che torna morta onda su onda sulla scogliera del suo paese salentino, e la cui ombra non può donare al Signore altro "che il suo 'domani' ".
Il "domani" è l'unica cosa che anche Paola, la ragazza fuggitiva, può offrire e che, con il matrimonio con l'ingegnere venuto dal Nord, sarà destinata di nuovo a un mondo di "piedi calzati e rumorosi".