E l’800 sancì Dante Padre dell’Italia Unita, di Maurizio Cucchi
Che il sommo poeta fosse anche, verosimilmente, un personaggio straordinario, non è difficile crederlo. Ma che in quanto tale risultasse al centro di vari racconti e romanzi ottocenteschi non credo fosse noto a molti. Anche per questo non si può non accogliere con favore e curiosità il recente Io ghibellino esagerato di Maria Grazia Caruso che si occupa, come recita il sottotitolo, della “vita di Dante in alcuni racconti dell’Ottocento italiano”. L’autrice, una giovane studiosa calabrese, ha già al suo attivo diverse pubblicazioni, tra cui uno studio sul poeta Edoardo Cacciatore, e in questa ricerca dimostra una non comune acutezza critica, insieme al rigore filologico e all’efficacia della scrittura. Ma uno degli aspetti più interessanti del libro è sicuramente la parte antologica, dove compaiono scelte dai testi di nove autori dell’Ottocento decisamente sottratti all’oblio che li aveva cancellati. I loro nomi, infatti, credo risulteranno del tutto ignoti alla maggior parte dei lettori anche colti, ma i loro scritti, con esiti di varia qualità, costituiscono un piccolo patrimonio da considerare soprattutto per due ragioni: la conferma ulteriore del diffusissimo amore per Dante e il suo valore di figura esemplare e centralissima nella costruzione di un’identità nazionale autentica. I nove autori ragionano e scrivono in modo e su temi diversi. Ma vediamoli allora più da vicino. Gaetano Buttafuoco, nella sua “novella storica”, mette in azione il figlio di Dante Jacopo, che “fu dal caso condotto appie’ dell’umile sepolcro del padre”. Il quale poi gli appare e gli dice: «Vivo delle vera vita eterna». Dettagli da vero feuilleton! Erasmo Pistolesi ci fa vedere un Dante mosso da «smisurato e generoso amore della sua patria», mentre Agostino Verona si immerge nelle cronache dell’epoca. Notevole risalto ha ovviamente la figura di Beatrice. Scrive Cesare Scartabelli: «Beatrice vivea per costume tutta lontana dalla gente, dai crocchi, dalle brigate, dalle festevoli adunanze, compiacendosi di starsene ritirata e raccolta nelle paterne case». E all’amore di Dante si dedica anche Luigi Capranica, che mette in scena grandi personaggi come Corso Donati, come Filippo Argenti, dal «genio malefico», e come Guido Cavalcanti, che comunicherà a Dante che «essa ier sera era in fin di vita». Di Dante e Beatrice (anzi, familiarmente, Bice) si occupa anche Cesare Da Prato, mentre lo storico dell’arte Pietro Salvatico racconta di “Una visita di Dante a Giotto”, alla Cappella degli Scrovegni. Eccolo lì, il poeta descritto dal Salvatico: «Porta indosso una tonaca rossa […] Ha un bel naso […] e con rispetto parlando, un po’ di fardello dietro le spalle». Quest’ultimo tratto compare più o meno anche nel racconto di Antonio Vero: «Vestia il bruno, e questo cresceva la mestizia che veniasi dallo aspetto della sua persona, mediocre ed alquanto curvetta». Al contrario, il già citato Scartabelli, afferma: «Dante dette opera strenua ai ginnici esercizi, onde si fece agile e robusto, ben disposto e aitante nella persona». Ma quelli erano i tempi della giovinezza quando doveva mostrarsi attraente… Non posso a questo punto trascurare Fedele Luxardo, e il suo racconto storico sugli ultimi anni del poeta. Il quale, oltre a lasciarci un’opera di impressionante grandezza e durata, è anche riuscito, come ci aiuta a capire la Caruso, a stimolare la creatività e la fantasia, fertile o ingenua, di numerosi, piccoli scrittori a lui devoti.