La poesia di marmo e di aria, di Valerio Cuccaroni
Di marmo e d’aria come le iscrizioni dei templi corrose dal vento. Il titolo del nuovo libro di Maria Grazia Maiorino (Di marmo e d’aria, Manni, Lecce 2005) dice il segreto nascosto nelle sue pagine, quell’ansiosa ricerca di un amore scomparso troppo presto e delle parole per elaborare il lutto, che rappresenta il leit motiv della prima omonima sezione. Una ricerca che può contare su molte tracce, lasciate nelle tele che decorano la casa e nei mobili costruiti dalla mano sapiente dello scomparso. Ma che si rivela una ricerca tormentosa, perché al suo posto l’amore scomparso ha lasciato un vuoto vertiginoso. A riempirlo la poetessa chiama gli oggetti. i sogni e i ricordi, ma un grido musicato, note di pianto ne escono, lancinanti, per quanto discrete, fatte di immagini e non di lamenti.
Di marmo e d’aria racconta l’elaborazione di un lutto, tentata con tutte le armi, ma prima di tutto con quelle della scrittura e della magia, la magia di Bruno, che deriva dalla profonda conoscenza della natura. Maiorino è sempre stata poetessa della natura, panica, e ciò ritorna nelle altre due sezioni del libro. In Taccuino bellunese (1999) leggiamo: “ho sfumature minerali vene/ che scorrono nei monti piene/ rimbalzanti di torrenti e placide/ rive fluviali” e in Figure (1998-2004): vorrei raggiungere/ la grazia animale – essere come te/ una con il mondo”.
Nonostante i più strazianti dolori, Maiorino è riuscita ancora una volta a proiettarsi fuori di sé, e questa dote ha premiato l’Accademia della Crescia di Offagna, conferendole il titolo di “Cavaliere” lo scorso 30 luglio, per i suoi meriti nel campo della poesia e della promozione culturale.