Maria Rosa Cutrufelli, Ricordi d'Africa

01-05-2009

Il chicco africano, di Anna Maria Crispino

Nella collana Chicchi di Piero Manni – 32 pagine piccole che trovano posto anche nelle borse più zeppe di oggetti e negli zainetti leggeri delle ragazze in motorino - Ricordi d’Africa di Maria Rosa Cutrufelli raccoglie un breve reportage sul Senegal fatto dall’autrice nel 1985 e un racconto breve e folgorante sulla bambina Macuba incontrata a ’Ndola (Zambia) nel 1974. A collegare i due testi, la corposa traccia della deportazione delle schiavi, visibile con esplicita evidenza nella visita all’isola di Gorée, fatta «nel particolare stato d’animo di chi si accinge a compiere un pellegrinaggio. Sto viaggiando sulla rotta di un olocausto dimenticato dall’occidente», nella memoria della ninna-nanna che la mamma di Macuba mormora per tranquillizzare la figlioletta spaventata dalla donna bianca, che forse è «La stessa che un tempo, laggiù in America, le nere delle piantagioni intonavano all’orecchio dei figli», la minestra di gombo: «D’un tratto ricordo di aver mangiato minestre di gombo anche a Bahia, anche a New Orleans: una ricetta che ha attraversato il mare con le navi dei negrieri», annota. È lo sguardo di una donna che osserva altre donne quello di Maria Rosa Cutrufelli che insieme alla giovane economista Aissatou da Dakar viaggia verso il sud del Senegal fino alla regione della Casamance. Prende appunti, mentali e sulla carta, sulle differenze di condizione del paese di colonizzazione francese, la «bellezza spettacolare degli uomini e delle donne wolof, l’uso diverso dei profumi per piacere e sedurre, in un paese dove vige la poligamia, i primi chiari segnali (siamo ancora negli anni Ottanta), dell’impoverimento delle donne contadine mentre resiste un iniquo sistema tradizionale e allo stesso tempo avanza il modello della globalizzazione, la loro quotidiana fatica mentre battono il lungo pestello nell’alto mortaio per preparare la farina, o disboscano per fare il carbone, o raccolgono il sale, o coltivano una terra da cui non traggono profitto – solo sussistenza – perché non possono esserne proprietarie. «Tanta bellezza, tanta cura di sé e poi… e poi, intorno a loro, tutto quel dolore nascosto…», conclude l’autrice.