Storie di ordinaria femminilità, di Massimo Orgiazzi
Con stile di narrazione semplice, lineare, proprio della donna che sa accogliere la natura umana, in dieci storie di ordinaria femminilità, Maria Rosa Panté si diverte a calare le vicende di donne vicine a importanti figure della Storia: da Santippe a Floriana Foscolo, da Gemma Donati in Alighieri a Maria Barbara Bach, per raccontarci di come, apparentemente, esse non siamo state Muse, con la m maiuscola, ma anche in maniera forte abbiano accompagnato con il loro essere figlie, madri, mogli e amanti, la vita dei loro uomini contribuendo a farli essere quello che sono stati, proprio attraverso la presenza, la sollecitudine, l’aiuto concreto e costante, tipicamente femminile. Di loro non rimarrà traccia nelle opere, nell’imperitura linea che collega la più grande espressione artistica, filosofica e scientifica con l’umano: di esse non ci sono che minime menzioni nelle biografie poco lette, mai ricordate; talvolta di loro non rimarrà nemmeno questo. Se scorriamo le vicende, ci immergiamo in esse e nella Storia dalla quale l’autrice con precisione attinge le a volte poche notizie relative alla protagoniste (spesso solo barlumi, quasi bisbigli del divenire), ci accorgiamo che non si tratta solo di racconti di controcanto: non si tratta soprattutto di rivendicazioni, come spesso si potrebbe essere portati erroneamente a pensare, inclinandoci verso un’interpretazione femminista. Si tratta più che altro, ogni volta, dell’assunzione di consapevolezza di una femminilità che sa attraversare eventi e fatti con la calma e la costanza di una moglie fedele, di una madre dedita, di un’amante appassionata. Una consapevolezza comune a tutte le età di una vita: le protagoniste si trovano ad affrontare questo aspetto già da giovani, quando sono mandate in sposa, affiancate da un ironico destino o caparbiamente datesi al loro uomo. E questo stato di consapevolezza dell’oscurità rispetto ai grandi eventi, così come di convinzione e di amore umano, si prolunga per tutte le loro peregrinazioni mortali fino alla morte e all’inevitabile oblio. Ma non sono per questo meno muse. Se è vero che una delle etimologie per “musa” è «colei che aspira, che agogna» (Schenkl), allora è vero che queste donne hanno cercato, hanno avuto il loro pensiero fisso a sogni e sguardi, ed è vero che a loro si sono appoggiati poeti, musicisti, scrittori, scienziati e filosofi. Se nei versi immortali, tra i nomi delle stelle o nelle sonate più grandi della nostra civiltà non ci sono i loro nomi, rimane però di esse una vibrazione, un segno, un sorriso come quello di Monna Lisa, che quasi possiamo ritrovare nello sguardo di chi, sempre, con attenzione e amore superiore anche a quello per l’arte, ci circonda e ci sta accanto.