Mario Lunetta, I nomi della polvere

13-03-2006

Con Lunetta in un intrigo esistenziale, di Felice Piemontese


Figura tra le più significative dell’ambiente letterario romano, autore di moltissimi libri di poesia, narrativa, saggistica –alcuni dei quali hanno inciso profondamente nel dibattito critico-teorico, negli anni in cui un tale dibattito c’era– Mario Lunetta, vitalissimo settantenne, pubblica da Piero Manni uno dei suoi romanzi più riusciti e coinvolgenti, intitolato I nomi della polvere.
Lo si potrebbe definire un «giallo esistenziale» se non ci fosse il rischio di confonderlo con altre, più occasionali scritture, visto che adesso tutti scrivono gialli. E certo diverse da quelle di uno scrittore «di genere» sono le ambizioni di Lunetta. Che, abbandonati gli eccessi sperimentali di un tempo, ha costruito un romanzo-romanzo incentrato su una misteriosa sparizione e su un suicidio che forse non c’è mai stato in realtà. A condurre la dilettantesca «indagine» tre personaggi (un disilluso giornalista, la moglie dell’aviatore scomparso, un malandato professore di francese), ognuno dei quali racconta in prima persona gli sviluppi di questa ricerca, che avviene principalmente a Roma –una Roma slabbrata e tutt’altro che solenne, ma proprio per questo realistica e affascinante– negli anni immediatamente precedenti quelli attuali, quando cioè l’Italia «faceva le prove per diventare la fogna opulenta che attualmente è».
Naturalmente, le vicende dei tre personaggi sono strettamente intrecciate tra loro, e con quelle degli scomparsi, che sono un asso dell’aviazione in crisi d’identità e l’affascinante, enigmatica giovane donna alla quale si è legato, strappandola al pur amato fratello, con tragiche conseguenze.
Si direbbe, alla lettura, che Lunetta si sia divertito a mescolare le carte, utilizzando ogni sorta di ingredienti del «romanzesco» per un gioco, condotto con straordinaria abilità, che vuol mostrare nello stesso tempo le potenzialità, ancora enormi, della narrativa, e il suo interno logorio. O, forse, ha voluto soltanto raccontare una storia possibile in questi anni difficili, inventandosi personaggi di grande spessore e credibilità, e un intreccio sapiente, riuscendo a tener viva fino all’ultimo rigo (quasi un happy end) l’attenzione del lettore, grazie anche a una lingua non so se «neoilluminista» (come suggerisce la quarta di copertina) ma certo di grande efficacia espressiva e duttilità.