Un coro di versi avversi, di Antonino Contiliano
Come la filosofia, in concetti simbolici, include eticità
e linguaggio teoretico, così il teoretico (logico), in eticità e
linguaggio, può a sua volta essere incluso in concetti simbolici.
Allora nasce la critica etica ed estetica
W. Benjamin , Teoria critica
Il legame della poesia con il politico e il tempo che lo manifesta fa sì che un autore sia sempre “imbarcato” - diceva Sartre -, e lo è sempre dentro l’articolazione aperta dei rapporti di produzione del tempo e dei suoi cambiamenti; e ciò per rispondere con un “appello alla libertà” e della libertà e inequivocabile richiamo alla lotta e della lotta conflittuale nella repubblica dei numeri meritocratici e classisti. Una risposta che continui sia la liberazione, sia la pratica effettiva e radicale della libertà completa come autodeterminazione diretta e collettivamente comune al fine della soddisfazione dei bisogni materiali e immateriali che riguardano tutti, nessuno escluso.
Anche per Benjamin - lì dove certa politica di classe era estetizzata per usare anche della poesia in funzione ideologico-conformista - si tratta/va (anche per noi) di mettere a punto una tendenza di liberazione e libertà antagonista vs la contro-tendenza, il contrario cioè della tendenza; così come la controrivoluzione era il contrario della rivoluzione e non una rivoluzione contraria.
Crediamo che i due libri di poesia - Francesco Muzzioli, ALLA CORTE DEL CORTO, Roma, 2008; Mario Lunetta, La Forma dell’Italia (Poema da compiere), Lecce, 2009 - rispondano a questo imperativo etico-politico di “tendenza” rivoluzionario-materialistica, sebbene “inattuale”, attraverso la poesia civile di questi due loro lavori.
La poesia di una possibile avanguardia dell’”alieno” che, suonata tra le note di una spessa e tagliente melodia antilirica ironico-sarcastica in chiave di violino piazzata sulla nota del “re”, e senza “anima” e piagnistei di “io” sodomizzati, nel “teoretico (logico)” in eticità e linguaggio” include “concetti simbolici” e dà vita pure a “critica etica ed estetica”.
ALLA CORTE DEL CORTO, infatti, il re dei “Pitaliani”, poiché vuole irreggimentare tutti al suo stesso livello “li esamina e misura lui stesso e sai perché / nessuno deve essere più alto del suo re” (p. 20), e lì dove ci sono toni o semitoni che fuoriescono dal coro del “re”, nella “scena oscena”, per le strade di Pitalia o de La forma dell’Italia (Poema da compiere) “Sfilano (sfileranno?) per via dei Fori Imperiali / le gloriose truppe del Crimine Organizzato, reggimenti” (p. 31).
I due libri di poesia, pur pubblicati tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009, costituiscono un unico e complementare coro di “versi avversi”, e se potessimo prendere a prestito un’icona o immagine-di-pensiero ulteriormente simbolizzante, per sottolinearne ancora e in abbundantia, ci viene in soccorso il Giardino delle delizie di Bosch.
Unico il bersaglio del grottesco ludibrio - la politica del re dei p-italiani, del racket governamentale italiano e della borghesiuccia bacchettona arruffona e piragna; complementare la sonorità iconico-significante dei due: ritmo-metro parodo-allegorico (tra rime baciate - “le veline sanno, senza fatica / quanto vale in politica la loro fica” -, p. 19; chiuse…, e alternate: “quasi ascosi aveva gli occhi nella testa, /la faccia macra e come un osso asciutta, / la pelle raggrinzita e mesta, / la cera cupa spaventosa e brutta.”, p. 26) di ALLA CORTE DEL CORTO; poematico lungo-frammentato, corsivizzato, parentesizzato…(tra chiasmi, ossimori chiamatici - “Scelleratezza nel Sublime. Sublime nella Scelleratezza”, p. 31-, e levis immutatio e le altre dissociazioni semantiche… di mente che “fatica e travagghiu / della mente, della mentula”, p. 59) di La forma dell’Italia (Poema da compiere).
Il “décerveler!”, l’imperativo della “farsa ubuesca inventata da Jarry, che dinamizza, il linguaggio poetico di Lunetta come «lingua bastarda» - impasto mobile e mescidato, infarcito di citazioni - che sembrano materiali caduti dal tavolino del Lunetta critico e teorico” -, ne fa un testo di plurivocità spigolosa.
Il percorso del viaggio richiede un verso tendente al lungo e la misura strofica del poemetto, sebbene, questo, non si avvalga di curve sinfoniali e piuttosto si lasci costruire per snodi e sbalzi, per sommatoria di pezzi e con continue irruzioni e inclusioni, in progress, non finito e non finibile, come è del resto l’orrore dell’Italia degradata ogni giorno di più, che ogni giorno si arricchisce (ma in realtà bisognerebbe dire “s’impoverisce”) di nuovi corollari ed addebiti. Poemetto per frammenti, dunque, continuamente inciso dalle interruzioni e dalle pause delle parentesi, che assolvono svariate funzioni: la funzione della rottura, a spezzare qualsiasi onda melodiosa e anche qualsiasi continuità narrativa, essendo tale “spigolosità” uno dei problemi della perdita di forma; la funzione della plurivocità, che fa insorgere voci supplementari, motivi in dibattito, argomenti concorrenti a rincalzo; e la funzione, infine, del cambio di pedale della voce enunciativa, che dinamizza il testo mediante diverse tonalità, sotto e a lato della linea principale fa pullulare una serie di mormorii, di aggiunte “a parte”, di discorsi rimasticati e irrefrenabili (pp. 10-11).
Il livello dello scontro è planetario (come dimenticare la bioetica, le neuroetiche o i vari sistemi di rilevamento e controlli che si esercitano nei luoghi di transito: aeroporti, porti, ferrovie, valichi etc), e la poesia dei libri di Muzzioli e di Lunetta si attrezza con armi da guerra non militari.
La speranza e la scommessa è che l’antagonismo in atto dei movimenti non si arresti, ma si dilati e incrementi i suoi spazi di libertà e azioni alternative al vivere irreggimentato delle misure del “corto” e della sua “corte” e coco-corte. Perché è qui che stanno anche i motivi del rinnovato conflitto di classe; motivi che, espressi in varie forme politiche, oltre che culturali e artistiche, danno senso antagonista anche alle nuove avanguardie che, nell’odierna rivoluzione no-global, si muovono in una con i movimenti dell’autodeterminazione, della democrazia radicale, della libertà e dell’esser-ci irriducibili alla trasparenza delle misure canonizzate.
E oggi, in questa Italia particolare, la “rivoluzione” della modernizzazione veltro-berlusconiana, che è una controrivoluzione che abbisogna di una opposizione senza quartiere, ad oltranza, non può essere lasciata senza giudizi e prassi alternative. E se non trova blocchi che non siano i movimenti degerarchizzanti, il tempo, generalmente inteso, della poesia o delle avanguardie, che scrutano le dinamiche socio-politiche e culturali globali (e ne scrivono e dicono), non può restare fuori da questa alleanza di comune demistificazione e decostruzione oppositiva. E a questo esercizio, come è evidente, la poesia di Muzzioli e Lunetta, non si sottraggono, anzi! Infatti sottraggono tempo e geografia piatti al modello dello spazio piatto al “guerriero della libertà” che cavalca il biscione vendendolo come un “ippogrifo”.
A guardare dentro la stessa arte e/o letteratura del nostro “secolo breve”, poi, le stesse rivoluzioni filosofico-scientifiche (oltre quelle politiche), che hanno toccato il concetto del tempo, hanno trovato modo di lavorarlo e immetterlo come materia nel suo laboratorio di allegorizzazione poetico-politica parodica dello spazio “piatto”. Qui, tutti e tutto (lattine, omo-culi, ominicchi e quaquaraqua… e l’altra merda), e primi, “todavía”, ma per diritto di primazia, nani e sottonani, sarebbe piatto come un francobollo per la futura geni(talità) degli eredi del re di “Pitalia”.