Nota, di Giuliano Ladolfi
Leggo sempre con estremo interesse le pubblicazioni di Matteo Bonsante, una delle voci più significative della poesia italiana del Sud; i suoi versi sono esemplari per nitidezza, levigatezza e brillantezza: «Il sorriso del vento ci riporta / nel brusio delle foglie / l’incantato fluire dell’Ora». In lui la profondità di pensiero si unisce alla chiarezza, fatto inconsueto, perché nel tentativo di esprimere l’inesprimibile fin dagli Anni Ottanta dell’Ottocento ci si affida allo stravolgimento dei sensi oppure alle analogie personali con il risultato di innalzare una barriera tra lo scrittore e il lettore. Qui, invece, la cordialità si unisce alla capacità di coinvolgimento, perché queste liriche scavano nel profondo della condizione umana, nella serenità e nel dolore, nella tristezza e nella gioia, nella comprensione e nel mistero, nella ricerca e nell’approdo, nel successo e nel fallimento: «Se mi apparto nel piccolo me / chiamato io, come posso cogliere / Dio che è somma infinità? // […] // «Esiste il finito perché esiste Dio. / Ed esiste l’infinito perché esisto». I versi di Bonsante palpitano contemporaneamente di dolcezza e di forza e questa contraddizione, che spesso si delinea in una zona sfumata di stile e di pensiero, rende suggestiva la lettura: «Negare nome e forma / la parte più volatile di me. / Rintoccare, sciolto dalla terra, / al tempio della Parola». E le “dismisure” non si radicano su un io titanico, romantico, egocentrato, su una forma espressionista, incapace di contenere nei limiti esistenziali la prepotenza del sentimento, ma sulla consapevolezza che esiste un “oltre”, parte di una realtà dell’esperienza umana che la poesia aiuta a scoprire: «Ma nel momento di maggior / danno, / ho sentito al largo e in me / stesso / spumeggiare, carezzevole, / sempre / l’eternità». Non tragga in inganno la parola “eternità” concepita nella fede come una realizzazione futura, perché «il Regno di Dio è in mezzo a voi» afferma il Vangelo: «– Darsi in dono all’eternità. // Che è già qui. Ora». Ecco un’altra di quelle linee di “sfumato”, caratteristiche della poesia di Matteo Bonsante. Il mondo stesso «è verità, fugacità, / Maya, apparenza», cioè è contemporaneamente consistente e inconsistente, perché in Dio si realizza la cusiana coincidentia oppositorum; in Lui i contrasti trovano soluzione, perché essere, divenire e apparire luzianamente coincidono. A questo punto, come Dante, come il grande poeta fiorentino contemporaneo, Bonsante, dopo aver compiuto un cammino intellettuale ed esperienziale conclude con la preghiera: «Sprofonderò – presenza e vanto – / nell’alto varco / che porta alla tua porta». Montale è completamente rovesciato, il “varco” si è aperto, il “novecento” è terminato e lo scrittore ha trovato il senso della vita.