Mattia Cavadini, L'ultimo giorno

01-11-2005

Un romanzo sofisticato e poetico, di Teo Lorini


L’ultimo giorno è, anzitutto, un romanzo sofisticato e poetico che non ha paura di prendersi dei rischi. Col procedere della narrazione infatti la storia di Leonardo che abbandona la famiglia per cercare quel “qualcosa di più perfetto di noi” di cui non sopporta l’assenza, il suo tentativo di “anticipare” il dolore proprio per soffrire di meno, si fanno sempre più rarefatti. Gli scarni dialoghi della prima parte cedono il posto a una riflessione interiore pressoché solo monologata, col pericolo evidente di perdere il lettore meno attento, un lettore di cui, peraltro, Cavadini fa a meno volentieri.
Per addentrarsi con Leonardo “nel nero del sottobosco” e “sull’alta radura del Dòi” fino alla casa in cui sperimenterà la solitudine più completa, servono gambe buone e salda tenacia. E come le passeggiate impegnative nel paesaggio che Cavadini descrive con prosa prossima alla lirica, ci premiano con la conquista di un orizzonte più vasto e solo supposto, così il percorso di scarnificazione e purificazione narrato nell’Ultimo giorno dona una prospettiva sulla vita che, pur non completamente inedita, ci trattiene per un istante fuori dalla corrente degli stimoli e delle meschinità di cui si compone il nostro quotidiano, facendo scordare anche a noi come al protagonista tutto quello che ci ingombra “il corpo, gli occhi, la mente”.
L’ultimo giorno non è esente da difetti: lo squilibrio -già accennato- fra la prima parte, più narrativa e drammatica e la seconda, più poetica e introspettiva. Ma anche l’idea, non nuovissima, di aprire il romanzo con tre descrizioni diverse e non completamente sovrapponibili della stessa vicenda, avrebbe meritato forse maggiore elaborazione. Così com’è, incappa talvolta in una ripetitività che non giova al libro. Non tanto perché gli tolga un appeal a cui l’autore non mira, ma proprio perché l’equilibrio delle parti diviene quasi insostituibile in un testo così scabro e onestamente anti-commerciale.
Ragguardevole invece il modo in cui la lingua muove da una quotidianità calda e rassicurante e arriva a una rarefazione lirica che concorre con la precisione dello sguardo a rendere la vivezza e l’emozione di un paesaggio che è insieme raffigurazione di un preciso ambiente geografico e di un’interiorità pulsante e tormentata.