Il passato va affrontato, intervista di Arturo Zilli
Mempo Giardinelli, uno dei massimi scrittori argentini viventi, autore pluripremiato di libri come «Finale di romanzo in Patagonia», «Luna Calda», «La rivoluzione in bicicletta», sarà per la prima volta in regione. Mercoledì 9 alle ore 20.30 Giardinelli sarà ospite del Centro Pace al teatro Cristallo di Bolzano per una serata in cui la magia delle parole si unirà all’incanto della musica jazz dei Django Anniversary. Giovedì 10 invece parlerà nell’’ambito dei «Dialoghi internazionali» organizzati dalla Provincia Autonoma di Trento in collaborazione con il Centro Pace di Bolzano. Nella bella cornice della Sala Depero il grande scrittore argentino verrà intervistato da Maurizio Chierici, uno dei maggiori conoscitore dei fatti e dei problemi dell’America Latina. Giardinelli, che quest’anno ha rappresentato l’Argentina alla Fiera del libro di Francoforte, parlerà del suo amore per la letteratura, del suo impegno sociale per i poveri della sua terra, della sua vita avventurosa e di un Paese, l’Argentina, perennemente in bilico tra crisi e speranza. Ma parlerà anche della sua regione, il Chaco, dove hanno trovato rifugio numerosi immigrati italiani e in particolar modo altoatesini e trentini.
Mempo Giardinelli, come mai in Trentino-Alto Adige?
«Mi hanno invitato gli amici del Centro per la Pace di Bolzano e della Provincia di Trento. È una regione che non conosco ma che mi ha sempre incuriosito. L’Italia l’ho girata in largo e in lungo ma non sono mai stato in questo territorio di confine che mi dicono stupendo da un punto di vista naturale e ambientale e che ha molti legami con la mia regione, il Chaco».
Legami piuttosto forti anche per quanto riguarda l’immigrazione. Sa che tantissimi trentini e tirolesi vivono nella sua terra?
«Eccome. Ci ho scritto anche dei racconti. Mi piacerebbe sapere qual è il rapportO che intercorre oggi fra le famiglie degli emigrati che vivono in Trentino Alto Adige e i loro familiari che hanno deciso di lasciare tutto quasi un secolo fa per stabilirsi in Argentina. So che a Trento c’è una organizzazione molto attiva di trentini nel mondo che ha dei canali di cooperazione piuttosto solidi con la mia terra. Nel mio ultimo libro di racconti, uscito in Italia per Manni, dal titolo «Gente strana» parlo di un luogo nel Chaco che ha voluto recuperare, per fino nel nome, le sue origini tirolesi: Puerto Tirol.»
Gente strana è il suo primo libro italiano di racconti. In italiano sono stati pubblicati i suoi romanzi più noti. Ora cominciano a uscire i racconti.
«Il racconto è un genere molto diretto e su cui più ho lavorato da una prospettiva di invenzione. Il romanzo è un genere in cui lo scrittore dispone di un tempo più ampio, è meno esigente mentre il racconto lo è in una misura estrema: esige un altissimo grado di perfezione, precisione e concentrazione. I testi che ho deciso di includere in questa antologia hanno un’origine molto diversificata: alcuni sono stati scritti 25 anni fa e alcuni di recente».
La terra da cui proviene, il Chaco, nel nord argentino al confine con Paraguay e Bolivia, è lo scenario per eccellenza della maggior parte delle sue opere. È una terra molto povera ed esclusa dal circuito culturale più vivo. Perché anni fa ha deciso di lasciare Buenos Aires che è un cuore pulsante della cultura in America Latina?
«Vivo nel Chaco perché è lì che sono nato e sono cresciuto. Ho una qualità di vita che in altri posti non riuscirei forse ad avere. Il Chaco mi offre stimoli creativi fortissimi, è una zona poco conosciuta anche nella stessa Argentina, misteriosa, occulta, persino esotica: ciò è in qualche modo parte di un mito, forse perché è così lontana dalla capitale e perché per tantissimi anni è stata una terra marginale. È un territorio funzionale alla mia letteratura. Il Chaco venne colonizzato alla fine dell’Ottocento da settanta famiglie italiane, trentini compresi».
Nel racconto “Il castigo di Dio” accenna a una delle tante tragedie di quell’epoca: una ventina di appartenenti alla gioventù peronista vennero sequestrati, fucilati e i loro cadaveri fatti scomparire. In questi giorni si celebra il processo contro i responsabili di quei fatti. L’Argentina sta finalmente voltando pagina?
«Credo di sì e penso che sia assolutamente necessario. Nessuna società può essere pacificata e vivere una situazione di democrazia autentica se non risolve i nodi del passato. Sarebbe stato diverso se ci fosse stato un pentimento da parte di coloro che si resero responsabili della tragedia dei desaparecidos e di tanti altri misfatti durante il regime dei generali. I vecchi militari si sono comportati con una superbia incredibile. Per anni hanno impedito che si celebrassero i processi, ma ora non si possono più sottrarre. La società argentina lo esige perché nessuna società può vivere senza giustizia, memoria e verità».