Mempo Giardinelli, Gente strana

10-06-2010
Giardinelli, il narratore, di Luca Sticcotti
 
Storie di emigrazione ed emigrazione che diventa storia. È questa in sintesi la letteratura di Mempo Giardinelli. Lo scrittore argentino è stato protagonista ieri al Cristallo di un delizioso incontro pubblico, in una cornice cordiale condita di jazz. A Bolzano su iniziativa del Centro Pace del Comune di Bolzano Giardinelli ci ha messo solo pochi secondi a sentirsi a suo agio, iniziando a raccontare. Un racconto in cui si fondevano la sua storia personale, le storie delle tantissime persone incontrate, la travagliata storia del suo paese e, infine, le storie di fantasia trasfigurate nella sua attività di scrittore. Come quella, commovente e struggente del (forse) parente Bob Giardinelli, costruttore di ance per i sassofonisti jazz più famosi, incontrato per caso e per davvero dallo scrittore a New York. Il Giardinelli statunitense durante la guerra aveva ferito a morte un soldato tedesco ma poi, con quello che doveva essere il “nemico”, aveva condiviso le ore dell’agonia dell’altro, scambiando con lui frammenti di vita e desiderando di poter pregare per una volta nella vita in quella che il soldato tedesco riteneva essere la terra della pace in terra: la Patagonia. La preghiera inventata sul posto anni dopo dal Giardinelli scrittore e non credente, in ricordo del lontano incontro tra quei due uomini, è stato nella serata davvero un momento di estrema poesia. Un ruolo cruciale e bellissimo nell’incontro con il pubblico è stato giocato dal gruppo Django Anniversary, integralmente composto da ottimi jazzisti bolzanini alle prese con un repertorio che ha dato una sorta di “sfondo ideale” al tema del viaggio, questa volta in avanti e indietro nel tempo, tra le generazioni. Sollecitato da Francesco Comina, supportato da Arturo Zilli nelle incertezze linguistiche del suo comunque ottimo italiano, Giardinelli ha quindi raccontato della sua terra natale, il Chaco, una delle regioni più ampie e meno ospitali dell’America Latina. Il pubblico ha riso figurandosi un luogo dove l’inno regionale si intitola Puerto Tirol. Ma poi è rimasto colpito quando lo scrittore ha ricordato cosa voleva dire emigrazione per le varie ondate di italiani che, a partire dal 1870, colonizzarono quella terra dell’estremo nordest argentino. Suo padre che gli proibiva di parlare italiano, perché nella sua vita non doveva restare più traccia dell’incrostazione di miseria, legata alla lingua d’origine.
In conclusione al pubblico è rimasta impressa l’importanza del racconto che si fa “luogo”, memoria, unica casa dove è possibile individuare una sintesi, al di là di ogni assurda identità formalmente costituita, individuale e di popolo. La letteratura come “patria” universale.