Michele Gambino, Andreotti

06-05-2013

Subito dopo Alberto Sordi

Lo chiamavano il Divo. Belzebù. La Volpe. Ma la personalità di Giulio Andreotti non è riassumibile in un soprannome, né nelle vicende politiche e giudiziarie che ne segnano la biografia ufficiale.
Il più longevo dei nostri Presidenti del Consiglio è stato per oltre cinquant’anni l’espressione più inconfondibile e nello stesso tempo enigmatica di un Paese che, in un sondaggio del 1989, l’ha eletto come il personaggio più rappresentativo del carattere nazionale, subito dopo Alberto Sordi.
In uno degli ultimi libri usciti su di lui, Michele Gambino ricostruisce con la meticolosità del cronista di razza la parabola politica di Andreotti e con la sensibilità di un fine psicologo il fondamento filosofico del suo agire: ogni mossa dello zio Giulio – dai rapporti con la Chiesa all’antagonismo con il Pci, dai presunti legami con la mafia alla vicenda Moro – sembra ispirata, questa la tesi del libro, a un esercizio della leadership paternalista e costantemente votato alla mediazione (politica e forse anche etica).
Un esercizio che consente a Michele Gambino – giornalista forgiato dall’officina dei “Siciliani”, il mensile che Giuseppe Fava fondò a Catania all’inizio degli anni Ottanta – un suggestivo e illuminante paragone tra la realpolitik di Andreotti e la crudele e pietosa disamina dell’animo umano che Dostoevskij attribuisce al personaggio del Grande Inquisitore nel romanzo I Fratelli Karamazov: “noi consentiremo loro anche il peccato, perché sono deboli e inetti, ed essi ci ameranno come bambini”, è una frase che – ad avviso di Gambino – sintetizza la missione di cui Andreotti si sentiva investito.
Una missione celeste, ma da espletare con strumenti il più possibile terreni, racchiusa argutamente nella frase con cui Indro Montanelli accostò Andreotti al fondatore della Democrazia Cristiana: “Tutti e due andavano in Chiesa, ma mentre De Gasperi parlava con Dio, Andreotti parlava con il prete”.
Una strategia – spiega Gambino – che gli ha permesso di orchestrare forze istituzionali e contropoteri, rimanendo saldamente in sella per oltre mezzo secolo, riuscendo anche a eludere la morsa della magistratura, quando, a partire dal ’93, Andreotti è stato accusato di collusioni con Cosa Nostra e di coinvolgimento nell’omicidio del giornalista Mino Pecorelli.
Quali sono state le condizioni storiche per l’ascesa politica di Andreotti? In cosa consiste la sua italianità? Cosa lo ha portato sul banco degli imputati, e come è uscito dai processi a suo carico? A queste e ad altre domande risponde Andreotti, il papa nero, un’antibiografia che, in concomitanza con la morte di Andreotti, ne illumina la vita con coraggiosa trasparenza.