Racconti a ritmo di taranta, di Serena Mauro
Il ritmo della taranta: “alcuni cantano, alcuni ridono, alcuni piangono, chi grida, chi dorme, chi veglia, chi salta chi trema, chi suda, e chi patisce diversi accidenti, e fanno pazzie, come se fossero spiritati”. Un ritmo che ha resistito allo scorrere degli anni, modificandosi, ma resistendo al cambiare di tutto intorno a sé. “Allora come adesso si parla di corpi che trascinano anime: corpi in pena, corpi in amore, corpi pensanti e corpi sofferenti, donne e uomini che escono fuori di sé per cercarsi”. La rottura delle regole consolidate dalla società, la ribellione, il bisogno di infrangere catene che imprigionano, sfiorando il limite, labile, della follia. Allora i piedi che battono sui selciati, i tamburelli che vengono percossi da mani indurite dalla terra e dal sole, le gonne che si sollevano e si agitano: il ritmo della taranta racchiude la storia di un Salento, che continua a muoversi. Poi gli studiosi, le spiegazioni antropologiche, più o meno scientifiche, e un ritmo che perdeva suono, si faceva più flebile, si nascondeva per riaffiorare inaspettato.
Quali siano le ragioni di questa danza, il suo ritmo non si può spiegare, è un ritmo che si è modellato sotto il sole cocente, che solo chi passa le sue estati negli uliveti salentini può conoscere. Un sole abbacinante che a volte offusca i pensieri. Perché la troppa luminosità è difficile da sopportare. Un ritmo che poi, reiterato e ripetuto nelle mille feste a volte corre il rischio di perdersi. “Oggi la taranta si vede trasformata in bene immateriale, in agriturismo del popolare, in prodotto glocal. E si va a scuola di pizzica, come si va a yoga o a pilates. E tuttavia perfino il marketing più disinvolto della lascivia Corea, rappresenta una prova ex contrario dello straordinario potenziale simbolico del tarantismo. Il cui cristallo brilla ancora di una luce che ci tocca la mente e il cuore. Perché evidentemente siamo sempre in cerca di un cimbalu d’amuri che faccia battere il nostro petto. Che sani quella ferita che noi siamo”.
Mordi & Fuggi è “il mito della taranta dato in pasto alla penna di 16 scrittori e un antropologo”. 16 racconti per evadere dalla taranta, spiega il sottotitolo. Per evadere, forse, da rappresentazioni oleografiche della taranta e delle tarantate. Ma il suo ritmo penetra tra le parole e le pagine. Si muove tra la seconda guerra mondiale e i giorni d’oggi, tra i paesi del Salento e grandi città del Nord. Supera il folklore per parlare di un morso che “avvelena l’anima e il corpo”, ma anche a volte è l’unico antidoto al male di vivere e di esistere.
Mordi & Fuggi, primo volume della nuova collana di scritture contemporanee di Manni “Punto G”, ha come introduzione un intervento dell’antropologo Marino Niola e nel ventaglio di giovani scrittori chiamati a misurarsi sul tema taranta annovera anche salentini (come Livio Romano ed Elisabetta Liguori), personaggi come Teresa De Sio, penne famose come Carlo Lucarelli e note come Cosimo Argentina, Andrea Bajani, Giovanna Bandini, Giosuè Calaciura, Antonella Cilento, Carlo D’Amicis, Omar Di Monopoli,Gianluca Morozzi, Antonio Pascale, Aurelio Picca, Laura Pugno e Grazia Verasani.