Mordi&Fuggi

24-07-2007

La taranta narrata: in ballo c'è il corpo, di Francesco Durante

È il mistero del corpo femminile, in fin dei conti, il tema di questa interessante e originale collezione di racconti, Mordi & Fuggi. 16 racconti per evadere dalla taranta, pubblicata da Manni con una introduzione dell’antropologo napoletano Marino Niola. Che per l’appunto un antropologo sia chiamato a «cucire» insieme questi prodotti letterari non deve stupire. È proprio attraverso il racconto, infatti, che procede l’indagine antropologica, riuscendo a isolare, all’interno della narrazione, tutta una serie di simboli, di snodi concettuali, di «spie» che, se non ne illuminano il semplice valore estetico, riescono altresì a definirne lo spessore e il significato più profondo connesso all’esperienza umana che la anima. Nel caso di questo libro, poi, il legame tra letteratura e antropologia è quasi doveroso: in Italia, da Ernesto De Martino in poi, non c’è quasi nulla che più del morso della tarantola – e degli stati di trance e dei rituali ad esso connessi – abbia saputo mettere in moto un vero e proprio festival dell’antropologia militante. Senza contare che al giorno d’oggi la taranta, intesa come danza, come ritmo e suono, va conoscendo un suo eccezionale revival e un glamour del tutto inaspettati per un reperto della nostra antica civiltà contadina; e il Salento pullula di cantanti, danzatrici, musicisti spesso famosi su scala internazionale (è il caso di Steve Copeland, ex batterista dei Police) che ne hanno potentemente rilanciato l’immagine facendone una sorta di must anche turistico.
E visto che di Salento eminentemente si tratta, i narratori pugliesi non potevano non essere i più numerosi di questa raccolta: da Cosimo Argentina, al gruppo tarantino (una specie di Wu Ming) dei “Carlo D’Amicis”, a Omar Di Monopoli ( recente autore, per Isbn, di un ammirevole noir intitolato Uomini e cani: un consiglio per l’estate), a Elisabetta Liguori, a Livio Romano. Non mancano poi presenze più «clandestine», come quelle di Carlo Lucarelli o di Aurelio Picca o di Giosuè Calaciura. Ma a noi interessa soffermarci soprattutto sul drappello campano, che allinea due narratori ormai di quasi lungo corso come Antonella Cilento e Antonio Pascale, nonché una cantante e musicista come Teresa De Sio, la quale – salvo errori o omissioni – dovrebbe essere qui al suo esordio narrativo.
Partiamo per l’appunto da lei, in effetti, dato il tema prescelto per la collezione, una sensibilità musicale pare la più idonea a occuparsene con la dovuta partecipazione. Da questo punto di vista, il racconto della De Sio, intitolato L’erba del diavolo e posto (nobile dislocazione) a chiusura del volume, risulta un assai gradevole sorpresa, giocato tutto com’è sulla registrazione di una narrazione orale resa da un’anziana testimone del mondo di ieri nel mentre è impegnata a preparare la «stramunella», un decotto dalle singolari virtù terapeutiche. Decotto che però, se assunto senza le dovute precauzioni, può risultare pericoloso, e addirittura letale per chi ne faccia uso, come risulterà dagli sviluppi del racconto e dall’esperienza della sua protagonista Archina, sospesa, oltre che tra i due mondi così lontani di Procida e del Salento tra radicate credenze di magia popolare e referti di polizia amministrativa. Teresa De Sio mostra una vivace padronanza dei materiali a sua disposizione: orchestra con moderazione l’espressionismo del parlato dialettale, e soprattutto riesce a rendere avvincente la narrazione, a costruirla, diciamo così, con una accorta strategia di differite reticenze. Il suo è comunque un modo di risolvere la tematica comune volgendosi al nucleo tradizionale delle credenze del tarantismo, laddove tanto in Pascale quanto nella Cilento, assistiamo a un più complesso tentativo di aggiornare gli elementi della tradizione folklorica alla luce di nuove ritualità: dai raduni rave alla discoteca ai misteriosi sentieri del disagio giovanile. Con ciò disegnando una linea di continuità che poi è quella descritta da Niola nella sua introduzione, dove si dice che «cambiano i tempi, i modi e le forme ma ad essere in ballo è sempre il corpo». Con l’aggiunta polemica che, in questo modo, i racconti riportano al centro dell’attenzione, diradando le nebbie consolatorie del revival consumistico, quella che, dopotutto, «fu una storia di dolore, di antagonismo, di ferite inguarite».