Un ebreo in fuga dall’Iraq degli anni ’40,
di Maria Paola Porcelli
La letteratura americana di Hemingway o quella francese di Maupassant che non s’immaginerebbe di scoprire tra i tavolini da bar di una Bagdad anni Quaranta che alla vigilia del conflitto mondiale ascoltava Radio Bari c’è, c’è tutta tra le righe di Addio Babilonia dell’ebreo iracheno Naïm Kattan. Il romanzo autobiografico tradotto in tutto il mondo i cui diritti italiani ha quest’anno acquistato la casa editrice salentina Manni vide al luce nel 1975, pubblicato nella terza vita, quella canadese – dopo quella parigina dal ’47 al ’54- di questo giornalista e scrittore errante. I fatti. Iraq, maggio del ’41: gli inglesi sconfiggono il regime filo-Asse di Rashid Ali. Si frantuma l’armonia tra cristiani d’ogni rito, ebrei e musulmani. Viene meno un’età dell’innocenza; un peccato originale rompe l’incantesimo della millenaria convivenza multiculturale che aveva sino ad allora segnato la storia dell’Iraq. Ma il tema qui non è tanto la Storia quanto l’indagine sugli sguardi di un esule. Che nel letto del San Lorenzo riesce a far scorrere le acque del Tigri, quelle della propria formazione. Su cui ripercorrere il viaggio iniziatico.