Naim Kattan, Addio Babilonia

22-03-2011

La letteratura ha perso il suo impatto immediato sulla vita reale, di Giovanni Zambito

Naïm Kattan, scrittore nato a Bagdad ma dal 1954 residente in Canada, stasera alle 18 sarà alla Biblioteca Rispoli di Roma per presentare il suo romanzo Addio Babilonia, pubblicato da Manni editore (Collana Plurale, pagg. 232, € 16.00; prefazione di Bernardo Valli. A cura di Daniela Bonerba. Traduzione di Daniela Bonerba e Angela Liguori). Una trentina di opere, romanzi, novelle e saggi, tradotti in diverse lingue portano la sua firma e "Addio Babilonia" è stato scritto nel 1975, ma in Italia è stato pubblicato 35 anni dopo la prima edizione: ambientato nei primi anni '40, è un romanzo autobiografico che dà uno spaccato della Bagdad dell'epoca, vista attraverso gli occhi di un ebreo adolescente alle prese con le donne (velate e irraggiungibili o prostitute delle case chiuse nel Madan), con gli amici e con l'aspirazione di diventare scrittore. Dopo la capitale, l'autore proseguirà la sua tournèe di presentazione facendo tappa a Bari, Bologna e Venezia.

Stasera nella capitale interverranno il critico Walter Pedullà, Amalia Daniela Renosto, delegato del Quebec in italia, e Peter Egyed, Consigliere relazioni esterne dell'Ambasciata del Canada in Italia. Giovedì 24 l'autore sarà a Bari, presso la Facoltà di lingue e letterature straniere, in Piazza Umberto I, 1, assieme al professor Giovanni Dotoli, alle ore 11. Venerdì 25 marzo alle ore 10 Kattan sarà all'Università di Bologna in via Cartoleria 5, e alle 18 sarà alla Feltrinelli International di via Zamboni 7 a Bologna, insieme ad Alberto Sebastiani. Lunedì 28 marzo sarà a Venezia dove, alle 17.30, presenterà il romanzo presso l'Alliance Française, Casino Venier a Ponte dei Baretteri, in San Marco 4939, assieme ad Anne de Vaucher.

Naïm Kattan ha subito accettato d'incontrare Fattitaliani per un'intervista e ci accoglie con disponibilità nell'albergo romano dov'è ospite. La conversazione parte subito dal romanzo Addio Babilonia.
"Da quando si era messo a leggere i romanzieri americani Nazar non conteneva più l'entusiasmo. Esortava i presenti ad andare a scuola dai Saroyan e dagli Hemingway". Dunque la lettura può cambiare una persona, un punto di vista: lei ha un libro che riconosce come motivo o causa di un suo cambiamento personale?
Il primo libro che mi ha veramente cambiato e che è davvero importante per me è "Les nourritures terrestres" ("I nutrimenti terrestri") d'André Gide: ero ancora un giovane uomo a Bagdad e c'erano dei soldati britannici; ho visto che uno di loro aveva in mano questo libro, io conoscevo il nome di André Gide ma per l'epoca era molto difficile trovare dei libri francesi a Bagdad. Allora gli ho chiesto di prestarmelo, ma mi ha risposto di no perché l'indomani sarebbe andato al fronte egiziano per combattere contro i tedeschi, c'era la guerra... Io gli ho chiesto di prestarmelo per un solo giorno promettendogli di riportarlo il giorno seguente e quindi ho trascorso l'intera notte a ricopiare il libro in modo da poterlo leggere con tranquillità. In seguito, in arabo ho scritto diversi articoli su André Gide e lui li ha letti e quando sono arrivato a Parigi nel 1947 mi ricevette a casa sua: quando gli ho raccontato di aver passato la notte a ricopiare il suo libro s'è messo a piangere, e mi ha detto che aveva ricevuto il premio Nobel ma il fatto che un giovane di Bagdad fosse stato così colpito da un suo libro era un regalo ancora più grande.
Nel libro gli amici ogni sera riprendevano il dibattito sulla letteratura. Oggi a che punto è il dibattito in generale: esistono ancora questi circoli, la libera discussione letteraria senza snobismi...?
Devo dire che la letteratura ha perso il suo impatto immediato sulla vita reale e politica, la si vive sempre di più come un mezzo di pubblicità per romanzi che funzionano e non per forza il romanzo più importante, ma quello che fa scandalo, che può provocare un interesse immediato, ma non è più la letteratura a lungo termine. Essendo scrittore, quando incontro altri scrittori, sì, discutiamo di letteratura.
Oggi con quale atteggiamento guarda ai ricordi e ai pensieri che riporta nel romanzo?
Io ho scritto il libro Les Villes de naissance dove dichiaro di essere nato in tre città: Bagdad, Parigi e Montréal. Bagdad è la mia città biologica, dove sono nato: qui da qualche anno il mio libro è stato tradotto in arabo e alcuni scrittori e alcuni giornalisti di Bagdad scrivono degli articoli e me li mandano dicendomi che io sono il grande scrittore iracheno, anche se scrivo in francese e sono andato via. Se ripenso alla mia città natale e alla mia infanzia, io non considero tutto ciò con nostalgia ma come parte della mia vita, che io riconosco e che è importante, ma la mia vita attuale si svolge a Montréal e anche a Parigi, una città che culturalmente mi ha molto nutrito e dove sono diventato scrittore in lingua francese. Io ho cambiato lingua e il francese è dunque la mia lingua.
Il libro è uscito nel 1975, ma in Italia è stato pubblicato 35 anni dopo la prima edizione: Addio Babilonia è sempre attuale per quello che potrebbe essere ancora o per quello che non è più?
Il libro quando è stato pubblicato nel 1975 è stato visto come un libro su una città poco conosciuta; ne hanno parlato così in Francia e in Canada dov'è stato tradotto. L'Iraq oramai è stato completamente messo sottosopra e Bagdad è diventata una città dell'oggi: a Parigi e a Montréal il libro è uscito anche in edizione economica, come pure a Londra e negli Stati Uniti in inglese, quindi il libro sta vivendo una seconda vita e hanno cominciato a dire che è il libro che spiega la vera storia di Bagdad, non soltanto dal punto di vista delle bombe e degli assassini ma anche per le relazioni interpersonali. Io lo vedo come un libro che mi ricorda una realtà che non è più la stessa, ma che è stata reale e che potrebbe tornare, speriamo...
"A Bagdad ogni comunità religiosa ha il proprio modo di parlare. Siamo ebrei, cristiani o mussulmani, parliamo tutti l'arabo. Siamo vicini da secoli": come cambierebbe questa frase se la dovesse riscrivere oggi?
Io direi che noi parliamo la stessa lingua ma purtroppo non diamo lo stesso significato alle parole, purtroppo. E quello che prima era un rapporto, un contatto, adesso è diventato un'occasione di conflitto; è una sfortuna: prima durante la mia infanzia non si sapeva chi fosse sciita o sunnita, cioè lo si sapeva ma non era importante. Adesso ci sono scontri: non ci sono più ebrei in Iraq, la maggior parte dei cristiani è andata via, prima erano un milione adesso sono rimasti in 400mila, è la comunità cristiana più antica al mondo e parlano e pregano ancora in aramaico, la lingua di Cristo.
"Dalle parole emerge l'emblema delle nostre origini": succede anche a lei tuttora in Canada?
No, non parlo più l'arabo: parlo inglese o francese. È molto interessante la domanda perché quando sono arrivato in Canada il mio nome Naïm Kattan era un nome strano, e quando sono arrivato a Montréal a 25 anni mi avevano proposto di cambiarlo in nomi come Norman o simili, ma io voluto che il mio nome restasse Naïm: adesso quando dico il mio nome chi non mi conosce come scrittore mi chiede "È da molto che vive in Canada?" e io rispondo "Ci vivo da prima che tu nascessi".
Nella tradizione araba non ci sono tanti romanzi: perché secondo lei la lingua araba è poco indicata per questo genere di narrazione?
Io ho scritto un saggio che s'intitola "Le réel et le théâtral" dove affermo che la lingua araba e anche quella ebraica non hanno creato né teatro né fiction perché il vero storico si trova nella Bibbia e nel Corano che racconta anche la storia biblica. Al centro ci sono Mosè, Abramo, Gesù, Maria: non ci sono quindi storie teatrali perché il rapporto con il reale non è come in Occidente un rapporto teatrale. La Messa per esempio dei cattolici è teatro: c'è il coro, la pittura, tutto questo è vietato e se entriamo in una moschea sui muri non c'è niente, ma solamente la parola del Corano è importante per i musulmani, per loro è solo la parola di Dio che conta. E quando gli arabi hanno tradotto le opere greche hanno soltanto tradotto filosofia, le opere di medicina e astronomia, ma nemmeno un'opera di teatro che era così importante in Grecia: nel libro spiego il perché di tutto questo.
Olivier Germain-Thomas ha detto: «Il caso di Naïm Kattan è differente dalla maggior parte degli altri scrittori francofoni poiché l'Iraq non è mai stato segnato dalla cultura francese»: è d'accordo?
Sì, anche se sono andato in una scuola di Bagdad che si chiamava Alleanza Israelita Universale, che era stata fondata da ebrei francesi: lì ho avuto accesso ad alcuni libri francesi e all'insegnamento del francese, ed è eccezionale in Iraq. La mia lingua madre è l'arabo, ho imparato l'inglese, che è la seconda lingua dell'Iraq, ma ho imparato anche l'ebraico e il francese. Io ho scelto il francese come lingua di libertà, perché per me si collega alla Rivoluzione francese e ai diritti dell'uomo: per me quello francese è un popolo libero che mi ha dato la libertà e quindi è vero quello che ha detto Olivier Germain-Thomas.
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