Nicola Papa, Dolce cattività

04-04-2006

L'altra emigrazione, di Livio Romano e Nicola Papa


Si sono conosciuti qualche anno fa attraverso al posta elettronica. Stessa età, stessa terra, molte idee in comune, grande amore per la scrittura. Sono diventati amici. Livio Romano è autore di molti libri tra i quali il fortunato Mistandivò, pubblicato da Einaudi. Nicola Papa è un economista, ma qualche mese fa ha mandato in libreria Dolce cattività (Manni editore). È stato proprio Romano, la scorsa estate, dopo aver letto il manoscritto di Nicola ad esortarlo alla pubblicazione. In questa pagina i due fanno quello che hanno già fatto per mesi. Si scambiano opinioni e pareri sulla vita e sul lavoro. Nelle loro parole si può specchiare una generazione, quella che ha superato i trent’anni ma non ha ancora toccato i 40. Parlano di emigrazione intellettuale, di un Sud ancora una volta abbandonato. Del decollo di territorio che continua a restare un sogno.


Romano: «Tu hai lavorato per anni a Londra, nella City, nel cuore pulsante del capitalismo occidentale. Perché sei tornato?»
Papa: «Perchè credo che le forme moderne del capitalismo stiano assumendo, in molti casi, aspetti disumani. Quindici/sedici ore di lavoro al giorno, anche il sabato e la domenica, sempre di fronte ad un monitor, tensione insopportabile verso i risultati reddituali, estrema precarietà della posizione professionale (i capi, a Londra, nelle Banche d’affari, ti possono licenziare alzando il sopracciglio). Oh, sì, ti pagano bene, e le carriere, se ottieni risultati, sono veloci: ma chiedono la tua vita, in cambio, interamente e senza condizioni, come farebbe messer Belzebù. Perché ogni volta che prendevo la metropolitana alle sei del mattino, a Londra, pensavo alle acque fresche e chiare e dolci di Porto Selvaggio o di Santa Caterina».
Romano: Questo che racconti l’hai messo anche in Dolce Cattività, il tuo libro. Parliamone ancora. Cosa c’è allora nel futuro del vecchio Occidente?
Papa: «Gli economisti, gente concreta, di solito, hanno inaugurato un nuovo filone di studi: “Economia della felicità”, la chiamano. Essa cerca di stabilire una relazione tra le componenti non “misurabili” della remunerazione e lo stato di benessere di un individuo e di una società nel suo complesso: sai che, intervistati oggi, gli europei non si dichiarano più felici rispetto a venti anni fa?».
Romano: «Noi che siamo nati fra il 1965 e il 1975 siamo donne e uomini che non hanno mai conosciuto “l’impegno” politico come era, metti, negli anni ’70. e siamo anche quelli che più d’ogni altra generazione stanno andando pian piano via. Sia te che io, però, siamo tornati. E adesso?»
Papa: «Da parte mia vorrei volterianamente coltivare il mio giardino, dare il mio contributo, piccolo ma prezioso se unito a quello di altri, alla crescita del nostro territorio. Vedo bene che qui la situazione non è delle più incoraggianti e quindi comprendo le ragioni di chi parte e non torna più. E sono decine di migliaia, ormai: 500mila in tutto il sud, dicono le cifre, negli ultimi 6 anni. Numeri da paura, come quelli del Dopoguerra, quasi. Stiamo inurbando le città del nord, noi del Sud, insieme agli immigrati extracomunitari. È preoccupante il glaciale silenzio che è sceso su questo esodo del terzo millennio, su questa nuova diaspora meridionale: nessuno ne parla, ma perché, per la miseria? Perché questo “crollar di spalle di fronte ai fortilizi del domani oscuro”? Senti un po’, non mi dirai che la pensi così… non dirmi che anche tu, ogni tanto, (sogni?) di andare via, perché tanto non c’è più niente da fare…».
Romano: «Lo penso un giorno sì e uno no. Ma poi noi siamo quello che facciamo, no? E allora il fatto è che sono qua. A incocciare un economista-letterato, ad appassionarmi a questa “letteratura utile”, che secondo me è l’unica immaginabile. Oltre al fatto che il tuo libro è di facile lettura, addirittura commovente, e ho sempre pensato che chi riesce a prenderti dalla prima pagina e trascinarti fino all’ultima, e magari ti fa anche ridere o piangere: beh, quello è uno che con le parole ci sa fare. Si instaura un rapporto molto intimo fra l’autore e il lettore che si immedesima, si appassiona. Io ho una predilezione, inoltre, per i poeti “non” laureati, come direbbe il tuo Montale. Per coloro i quali si occupano di tutt’altro e però coltivano anche le belle lettere, la filosofia, l’arte (penso a Gadda, Svevo, Levi). Raccontami l’evoluzione di questa tua cultura interdisciplinare…».
Papa: «Beh, gli studi di economia nascono come un ramo della filosofia morale. Cercavano di capire come si comportano gli uomini nell’ambito dei rapporti di produzione. E se ad uno capita di leggere il Trattato sulla Moneta dell’abate Ferdinando Galiani, o lo Hume economista dei Discorsi politici, non può che godere della perfetta fusione tra letteratura ed economia. Conosco bene l’importanza dei metodi e dei modelli matematici o statistici per il governo dell’economia, ma ho come l’impressione che stiano rendendo gli studi economici sempre più “esoterici” ed elitari. L’ultimo economista-letterato credo sia stato Federico Caffè: le sue Lezioni di Politica economica sono un capolavoro di letteratura (non solo economica). E, poi, scusami, sei tu che, tra i primi, hai individuato un nuovo “tipo” di meridionale: trentenne, laureato, che lavora a Milano, o a Bologna, perché al Sud non c’è lavoro, e ad un certo punto molla tutto e se ne torna a casetta. C’è più economia nei tuoi libri che in un corso universitario… L’altro ieri andavano via a frotte i giovani con la licenza elementare, ieri andavano via i giovani diplomati, oggi vanno via i giovani laureati e specializzati: stiamo migliorando. I miei più vivi complimenti alla classe dirigente italiana! Ecco: sono il solito meridionale lamentoso…».
Romano: «Non credo proprio che siamo lagnosi, Nicola. I cambiamenti nascono proprio se non si perde la forza quotidiana di indignarsi, e di predicare e di mettere in atto nella concretezza della vita comportamenti “rivoluzionari”. Certo, appunto, spesso la sensazione è il tradimento da parte dello Stato, la sua assenza, ma questa è una vecchia storia. Tu credi che la letteratura possa modificare le coscienze, come si diceva un tempo?».
Papa: «E tu credi che le abbia mai modificate? Credi davvero che la letteratura abbia un ruolo nella costruzione di una coscienza collettiva? So bene che questo è il sogno di ogni intellettuale, ma temo invece che la denuncia pasoliniana dell’omologazione consumistica e materialistica realizzata attraverso il più efficace strumento di persuasione occulta delle masse mai inventato dall’uomo nella sua storia, cioè la televisione, conservi intatta tutta la sua efficacia. E temo che il silenzio calato sulla generazione dei trentenni meridionali e perduti, di cui prima ti dicevo, sia una diretta conseguenza dell’inebetimento collettivo da overdose di tv commerciale. Una partita di Champions o del Grande Fratello e chissenefrega se i tuoi amici lasciano il Sud e vanno a lavorare fuori. La tv come anestetico, insomma, oppio dei popoli. Questa tv, almeno, acquiescente e asservita…».
Romano: «Neppure io credo che la letteratura di per sé modifichi non dico le coscienze, ma il modo quotidiano di stare nel mondo. Per dire, molti che mi scrissero “oh che risate con Porto di mare” hanno ways of life esattamente uguali ai prototipi umani che avevo beffeggiato. Ma non sopravvaluterei neppure la tv, penso che –almeno da certe latitudini d’istruzione in su– la gente sia perfettamente in grado di discernere in quel blob pestifero che propala ogni giorno dagli schermi. Ma qui apriremmo un discorso molto lungo e complesso. Intanto, Nicola, proverei a vedere come reagiscono i lettori al tuo, di libro. Hanno a disposizione un bel po’ di materiale su cui riflettere, oltre a una bella storia in cui molti si potranno identificare».