Nicola Vacca, Incursioni nell'apparenza

08-06-2006

Figli di dèi mediocri, di Aldo Di Lello

Viene spesso da chiedersi se quell’entità che chiamiamo Occidente esista poi per davvero. E, se esiste, che cosa realmente sia, al di là degli apodittici manifesti dei teocon. Non è, a ben vedere, né una domanda geopolitica e neanche metapolitica. E’ un quesito diciamo “filosofico” che nasce da uno smarrimento spirituale. Sappiamo che cos’è l’Europa. Sappiamo che cos’è l’America. Sappiamo che cosa sono l’Euramerica e l’Eurasia. Conosciamo queste entità come prodotti storici e culla di valori. Ma l’Occidente che cos’è? Era la terra della libertà al tempo della guerra fredda. E oggi? Pare diventato un fantasma ideologico. Spregiato da quelli che gli hanno dichiarato guerra
(gli islamisti radicali). Esaltato da quelli che si sentono minacciati.
Verrebbe da dire che l’Occidente non esiste, che è una frontiera ideologica mobile, un’entità virtuale che fornisce identità a chi non ne ha. Ma sarebbe una risposta frettolosa e riduttiva.
Abbiamo il dovere di continuare la nostra investigazione. Perché quella domanda, ci piaccia o non ci piacca, ci tocca in profondità mettendo in gioco la nostra
identità.
E allora è da lì, dal nostro cuore, che bisogna partire. La filosofia, al momento, non ciserve. Ci serve la letteratura, in particolare la poesia.
Partiamo da questi versi di Nicola Vacca: «Eccolo qui il nostro Occidente/Di cui noi siamo le comparse/ Anime morte tra il gelo e la luce/ Tutto in questa sconfinata terra desolata/ Ha preso le sembianze/ Di una geografia senz’anima/ L’Occidente muore nel cuore delle persone». Se l’Occidente non esiste, esiste però l’uomo occidentale, con la sua deriva spirituale, con la sua perdita di profondità, con i suoi valori che evaporano al calore dei riflettori del Grande Fratello e di altre scemenze mediatiche. L’Occidente è l’uomo occidentale che sacrifica se stesso sull’altare dell’apparenza. E proprio Incursioni nell’apparenza si chiama questo poema civile di Vacca. Si tratta, per meglio dire, di una raccolta di poemi in sequenza spirituale, di un lungo discorso che procede per visioni e meditazioni. È il diario di bordo di una navigazione nel nostro tempo, il tempo occidentale, vuoto di significati («Questa civiltà è un sillabario di parole vuote»), vuoto di identità vere («Dove sono finiti i pensieri dei cuori appassionati? / Non c’è nient’altro che la triste freddezza/ Di tante storie che si assomigliano»), vuoto di ragioni («Il pensiero debole è il cuore della questione/ L’orrore di una magra consolazione/ Incontra nella menzogna/ La meta della salvezza»).
Non c’è da essere troppo allegri: la forza dell’apparenza in azione produce una malattia grave. Essicca i cuori e, con essi, la civiltà. Il “Male chiaro” - dice Vacca sottolineando la differenza tra la tragedia odierna e quella sperimentata ai tempi del “male oscuro” di Berto- è una peste silenziosa: risulta tanto più devastante quanto più si presenta nelle forme accattivanti del relativismo. «La ragione non apre più varchi, / Questo tempo nudo d’idee/ Massacra il linguaggio delle creazione».
Il poeta, che ascolta le vibrazioni del nulla, denuncia anche l’assenza dei Grandi Farabutti. Se la virtù non è riconosciuta, non può essere riconosciuto neanche l’errore.
Persino il peccato perde di dignità. Il peccatore cessa di essere un personaggio tragico. Il viatico di Vacca è Cioran.
«Senza un Nerone, un impero agonizzante manca di stile, una decadenza perde interesse». Non ci sono più conflitti dell’anima nelle civiltà delle anime morte. Non ci sono più neanche i nichilisti di Dostoevskij. Non ci sono più dèmoni, ma solo poveri diavoli che non si accorgono di vivere all’inferno. L’altro viatico di Vacca è Leo Longanesi. «La sola notizia seria, grave, severa è che la morale è morta e che viviamo senza accorgerci della sua assenza».
Il poeta pronuncia le sue parole forti con dolore consapevole. L’indignazione di Vacca non si dirige contro nemici fittizi e spauracchi mediatici. La poesia civile, in questo caso, è un grido che squarcia il silenzio. Viene dalla visione dei cuori che appassiscono. Vacca -osserva Sergio Zavoli nella prefazione- annuncia che «nella nostra storia va addensandosi il più subdolo dei peccati umani, il disincanto, l’idea che tutto accadrà, comunque, lontano da noi, quindi senza di noi, e persino contro».
Solo Dio ci può salvare. Vacca lo cerca, ma incontra il suo silenzio. «La religione del nostro tempo non ha nessuna religione». Nel silenzio di Dio, ci arriva solo il canto grottesco degli dèi della mediocrità. Quel canto risulterebbe tossico persino a Nerone.
Non so se esiste l’Occidente, ma se esiste, rischia di morire per un immane e letale sbadiglio.