Libri in breve, di Lucia Ravera
Parlare d’amore non è mai facile. Riesce meglio scriverne. Chi ama e ha il dono del verbo può percorrere infiniti spazi, alfabeti vergini per lasciare al suono di una parola, la consistenza di tutto un sentire, le sfumature di un palpito, l’odore di un ricordo, il sapore di un giorno… Alla poesia, più di ogni altro genere, è affidato il dono dell’intimità nella parola. Io leggo poesie “con ansia da prestazione”. Entrare nell’intimità altrui mi intimidisce. Temo di non capire. Temo di essere invadente se interpreto. Allora, semplicemente ascolto. La poesia è musica. Talvolta i versi mi travolgono di violenza, altre mi cullano in un limbo non limbo, altre ancora mi stringono in un abbraccio che va oltre la “compassione” e mi accarezzano come la schiuma del mare alla risacca. Ho conosciuto poesie che raccontano lo strazio dell’abbandono. Ho attraversato quartine che solcano gli abissi della solitudine dell’amore. Ho pianto su versi che accompagnano in un lento corteo la fine di una e mille storie. L’amore che lascia il vuoto. L’amore che fa percepire sulla propria carne il peso dell’assenza. L’amore che dimentica di sé e degli altri.
L’amore è due. L’amore è coppia. Questo raramente l’ho colto nei viaggi dei poeti, ingabbiati nelle maglie asfissianti del loro individuale strazio. L’amore è due. Questo è l’antidoto al male di vivere. Due corpi, due anime che si fanno una, per lottare contro il dolore, contro la casualità (o il destino?) di un cancro. Due in uno, contro uno solo, dunque. Una partita da giocare fino all’ultimo, nell’eterno rimestare di questa vita, così straordinariamente bella e così dannatamente crudele. I versi di Nicola Vacca, delicati, rispettosi, eleganti, addirittura pudici, nelle imperiture stagioni dell’amore.