Versi del Novecento, di Claudia Presicce
C’è dialetto e dialetto. Uno è il linguaggio popolare tradizionale, colorito, spesso sgrammaticato e fuori da ogni regola sintattica, l’altro è una lingua antica e sapiente, sempre pittoresca ma usata con le stesse costrizioni metriche dell’italiano come possibile strumento poetico. Quest’ultimo è il dialetto che i letterati del Novecento hanno utilizzato per la loro espressione artistica, per creare poesie spontanee e libere perché collegate all’immediatezza dell’imprinting della propria terra, della propria cultura. E senza mai dimenticare la sintassi.
Si tratta di un’opera che raccoglie gli autori principali di questa espressione poetica vissuti tra Lecce, Brindisi e Taranto, oltre trenta voci genuine della Terra d’Otranto del Novecento.
Professor Valli qual è l’importanza del dialetto nella poesia? Il valore della memoria è legato a questa lingua?
«Bisogna valutare ragioni storiche e culturali. L’attenzione rivolta al dialetto e al suo valore storico e antropologico nacque intorno agli anni Settanta quando l’istituzione delle Regioni spostò l’asse dell’attenzione dalla letteratura centrale a quelle regionali. Non che prima il dialetto non fosse usato artisticamente, ma aveva un’altra valenza. Da quel momento si è cominciato a vedere il dialetto non più come subordinato all’italiano, ma come lingua con una propria autonomia, soprattutto in relazione all’espressione artistica. Il dialetto così non ha più avuto restrizioni di minorità ed è iniziata una rivalutazione di autori precedentemente considerati secondari e di produzioni solo da quel momento valutate a pari dignità con quelle in lingua. Si è avuto un vero fenomeno di ampliamento delle voci dialettali, anche nel Salento naturalmente, dove ci sono state figure che si sono imposte a livello nazionale. Nostri autori sono stati pubblicati da Mondadori, da Einaudi e da altri editori nazionali nelle varie antologie di poesia dialettale, confermando una tendenza del Paese e il valore delle nostre produzioni. Oltre a De Dominicis, che ha avuto riconoscimenti ovunque per la sua alta funzione autoriale, ce ne sono tanti altri a noi più vicini come Nicola De Donno di Maglie, Pietro Gatti di Ceglie ed Erminio Caputo di Lecce: questi tre che sono stati pubblicati nelle antologie nazionali sono in realtà venuti fuori da tutto un substrato fertilissimo di autori degni, dei quali si ignora quasi tutto; ecco la necessità di fare un’antologia».
Questi poeti dialettali chi sono? Da dove vengono? Appartengono ad una stessa classe sociale? E, soprattutto, non tutti sanno che sono autentici letterati…
«Va precisato che il dialetto non è certamente quello della gente del popolo. Quello usato da questi autori ha una valenza di tipo artistico. Ha pari dignità con l’italiano e non è neanche del tutto l’italiano popolare. Usa immagini, strutture, elementi e metrica che sono propri della grande tradizione linguistica. Quando parliamo di questi poeti non parliamo di autori popolari, quelli delle filastrocche in dialetto o delle canzoni salentine che appartengono invece al folklore. Questi autori utilizzano il dialetto con tutte le strutture e gli accorgimenti poetici propri della lingua italiana, innalzano cioè il dialetto a livello di arte. Per far questo devono essere dei letterati, laureati, studiosi che partecipano a convegni e dibattici culturali, che hanno la consapevolezza del loro mestiere. All’inizio del secolo ancora le cose non stavano proprio così, ma man mano hanno raggiunto tutti una propria autonomia artistica e culturale».
Ma perché un letterato passava dai suoi saggi, poesia aulica e altri scritti alla poesia dialettale? Ci sono delle motivazioni?
«Certamente. Già il D’Amelio nel 1832 diceva “la lingua dellu Tata me sta scioca ïntra li dienti…”. E questo la dice lunga sulla spontaneità, sul bisogno di esprimersi con la lingua delle origini. Però nel Novecento diventa una scelta consapevole, dal momento che si riconosce al dialetto il valore di deposito culturale di una gente, l’espressione di una autonomia culturale, espressione di quella che oggi si chiama l’appartenenza e l’identità di un popolo. Questa consapevolezza si è raggiunta non solo come dato espressivo: è diventata consapevolezza della propria dignità, dei costumi e delle tradizioni, della natura e di tutto il passato culturale che grava su questa regione. La poesia a questo punto è stata, se non proprio una sorta di ribellione, quasi una gara con la poesia in italiano. Ecco perché questi poeti sono i testimoni di una cultura: perché non ubbidiscono ai canoni universali italiani che tutto appiattiscono. Emergono le differenze già tra la poesia tarantina e quella di Brindisi e Lecce che invece appaiono più omogenee. Gli autori di Taranto sono visceralmente attaccati alla propria città e alla grande tradizione storica rivestita da Taranto nel passato, mentre i leccesi sono più consapevoli della scelta di voler manipolare il linguaggio per cercare una sorta di conflittualità stilistica con l’italiano».
Questo non si insegna nelle scuole e non è facile che i giovani ne sentano parlare. L’antologia è rivolta soprattutto a loro…
«Ha toccato un tasto essenziale. Mai come in questo periodo vengo invitato nei licei della provincia a parlare degli autori salentini. C’è una diffusa esigenza di riscoprire la propria essenza e i giovani, dopo aver scoperto la taranta e la nostra musica, hanno voglia di conoscere la poesia che li riguarda. Questa antologia dovrebbe iniziare a colmare questa lacuna, dare la prospettiva di un’eventuale ricerca. Ci vuole ora maggiore coraggio anche da parte degli studiosi che non possono più fermarsi alla soglia della poesia aulica e solenne. Questa cultura avanza, dà consapevolezza e rende migliori i nostri giovani. La mia speranza è che questa antologia e ciò che rappresenta possa entrare nelle scuole».
Per un decano dei docenti salentini come il professor Donato Valli, già rettore dell’università di Lecce, fine studioso della letteratura pugliese in particolare, chiarire questo aspetto stilistico quando si parla di poesia dialettale è fondamentale. E, soprattutto – dice – va spiegato che essa è l’espressione diretta di una diversa categorizzazione culturale italiana che varia da regione a regione, e anche da città a città. A differenza della poesia italiana che, sotto questo aspetto, tutto appiattisce e non riconosce le peculiarità di personalità poetiche di diversa provenienza. Per queste e molte altre ragioni è nata “L’Antologia dei poeti dialettali salentini del ‘900” curata dallo stesso Valli e da Anna grazia D’Oria (edizioni Manni). Una preziosa pubblicazione in quattro volumi che dal 1° aprile, ogni settimana verrà offerta in abbinamento con il nostro giornale (sovrapprezzo di 7,10 euro).