Un’opera di Manni Editori per rimanere legati alle nostre radici, di Daria Ricci
La lingua dei nostri nonni, un po’ dei nostri padri. E forse di qualche nostro figlio.
Il dialetto.
“La lingua madre che fa di noi ciò che siamo” come dice il poeta latinoamericano Joseph Tusiani.
“Il desiderio di lasciare a questi ragazzi un patrimonio che ormai va scomparendo”.
È questo uno dei motivi, come dice Anna Grazia D’Oria, che con il professor Donato Valli ha curato i quattro splendidi volumi di Novecento dialettale talentino.
Per la casa editrice Manni. Poeti dialettali dell’area salentina, di quel territorio disegnato dalle province di Lecce, Brindisi e Taranto.
Con gli autori Filippo Tripaldi, Cataldo Acquaviva, Diego Marturano, Cataldo De Florio, Alfredo Lucifero Petrosillo, Giuseppe Cravero, Gregorio D’Ostuni, Claudio De Cuia, Diego Fedele, Pietro Pignatelli, Paolo Oronzo Orlando, Francesco Panzuti.
E ancora, Pietro Gatti, Domenico Colucci, Elio Di Ciompo, Giuseppe Di Viesto, Dino Tedesco, Vincenzo Garganese, Maria Attisani Vernaglione, Giuseppe De Dominicis, Enrico Bozzi, Nicola De Donno, Oberdan Leone, Arturo Leva, Erminio Caputo, Niny Rucco, Flora Russo, Giuseppe Susanna, Pasquale De Lorenzis, Clemente Valacca, Salvatore Panareo, Salvatore Imperiale, Rocco Castaldi.
Autori che delineano un percorso.
Poeti che nel linguaggio dialettale hanno trasferito sentimenti, interiorità, dolcezza, rabbia.
Sensazioni e emozioni della propria terra con le assonanze della propria terra.
Perché quest’opera mi chiede.
“Le dico subito per salvaguardare le nostre radici. Non guardare al dialetto con nostalgia ma un recupero del dialetto per ricordare le nostre radici. Il dialetto come voce di persone colte che hanno trovato in questa lingua una forza per esprimere i loro sentimenti.
La lingua della nostra terra che riesce a dare una tal forza che forse nemmeno la lingua italiana riesce in tutta la sua esistenza.
Ormai i ragazzi non parlano più il dialetto. Ci stiamo sempre più americanizzando. Nel linguaggio dei giovani tanti termini inglesi, l’inglese la sta facendo da padrone.
Una terminologia italiana sempre più ridotta. Pensi allora il dialetto dove è relegato.
Perdere l’abitudine a parlare il dialetto sta a significare che si sta perdendo il contatto con il territorio” dice ancora Anna Grazia D’Oria.
“Il riferimento specifico al solo genere poetico è, in un certo senso, una scelta obbligata, perché è in quella direzione che il dialetto ha sviluppato tutta la sua notevole capacità creativa e fantastica” dice il professor Donato Valli nella prefazione dell’opera.
“L’antologia in sé segue la successione alfabetica degli autori, un metodo pratico e non implicante ordine di valori.
Nell’introduzione invece gli autori sono raggruppati per aree geografiche, dalle quali risulta evidente una sensibilità poetica comune per studi, formazione, modelli.
All’interno dell’area gli autori ordinati per successione cronologica” scrive ancora il professor Donato Valli.