Un uomo potente promette a un gruppo di studenti precari un enorme guadagno in cambio, però, di un impegno terribile, cucinare, in un banchetto, la sua carne. Una richiesta agghiacciante attorno alla quale si snodano le pagine del nuovo romanzo della scrittrice bresciana Paola Baratto, «Carne della mia carne» presentato ieri, al Festival della Letteratura poliziesca, dall’autrice, intervistata da Claudio Baroni, vicedirettore del Giornale di Brescia. L’uomo potente della storia è il vecchio imprenditore Oliviero Almonte, i ragazzi destinatari della inconsueta e terribile richiesta sono studenti, senza occupazione stabile, che si barcamenano, coinvolti dal proprietario dell’appartamento in cui vivono, Pietro Malbec, preparando piatti da asporto per i benestanti di una ricca cittadina di provincia. Lo sguardo «crudele» di Almonte è il punto di vista che immortala i banchetti festivi della sua, potente famiglia. «I banchetti nei quali Almonte riunisce la sua famiglia - ha detto Paola Baratto - sono un modo attraverso il quale il vecchio imprenditore esercita una forma di potere. Passa tutto il tempo ad osservare i suoi famigliari, qualche volta a torturarli psicologicamente, per confermare la sua capacità manipolatoria». La prima parte della vicenda, «paradossale e corrosiva», è intercalata dai ritratti delle persone che partecipano ai banchetti della famiglia Almonte. «Sono ritratti nati per presentare, al lettore, personaggi che non avranno parte attiva nel romanzo - ha spiegato la scrittrice - . Li faccio sfilare e li cristallizzo in una sorta di galleria allegorica dei vizi e dei difetti della nostra società». L’atteggiamento di Paola Baratto di fronte ai suoi personaggi, «è quello di non tracciare linee di demarcazione per dividerli in buoni e cattivi, ma di descriverli a tutto tondo». «Carne della mia carne» intreccia due mondi diversi, quello del potente Oliviero Almonte e la difficile realtà del precariato giovanile. «L’ispirazione primaria del romanzo - ha raccontato l’autrice - è la proposta, paradossale e terribile, di Almonte, che ha un alto potere metaforico. Mi piacciono le storie aperte, che lasciano spazio anche all’interpretazione del lettore. L’effetto del precariato sull’individuo e sul tessuto sociale, mi preoccupa molto». Nei romanzi della scrittrice bresciana, emerge un modo peculiare di porsi nei confronti della realtà. «La scelta è quella di non sottrarmi a cose poco gradevoli. Tuttavia, la mia scrittura è stata sempre un procedere tra incanto e disincanto».