Paola Baratto, Saluti dall'esilio

25-03-2010
L'esilio disperato della verità, di Massimo Tedeschi
 
 
C'è un esilio fisico, fatto di distanze, di confini negati, di reclusione fisica. E c'è un esilio interiore, fatto di distacco e disincanto verso la realtà in cui ci è dato vivere. Alla prima allude il titolo, alla seconda la tessitura dei protagonisti di «Saluti dall'esilio» (Manni, pp. 180, euro 18) l'ultimo romanzo di Paola Baratto, scrittrice e giornalista bresciana. La cerchia via via più larga dei suoi lettori (ed estimatori) può esultare per la nuova prova dell'autrice che assicura quattro ore di lettura ad alta tensione stilistica, intellettuale e letteraria.
L'esilio del titolo è quello in cui è temporaneamente relegato, su un'isola greca, Aldo Piazza, perfetto uomo qualunque, tabaccaio in un paese appenninico che per merito della propria ovvietà e dell'oscuro disegno di un guru mediatico assurge per alcuni anni al rango di maitre a penser televisivo, fino all'inevitabile candidatura parlamentare. A condivider la sua vita e le sue sorti è Sandro, talentuoso ghostwriter, che ne orienta apparizioni, pareri, pensieri in un'osmosi conflittuale e perfetta.
Tutto fila liscio fino a quando un banale incidente con annesso trauma cranico riduce l'«Aldone nazionale» a non saper più fingere, a vivere una vera e propria «coazione alla sincerità» che rende non più filtrate e dunque imbarazzanti le sue sortite. Si rende necessario, appunto, l'esilio nell'isola ionica dove a un certo punto approda anche Isa. È la sorellastra di Sandro, a lui legata da un rapporto irrisolto, ma è soprattutto una giornalista non digiuna di slanci ideali che ha la missione di realizzare un'intervista dell'uomo qualunque diventato inconsapevole bocca della verità. Come abbia fatto a risolversi a un'impresa che implica attrazione, repulsione e tradimenti con Sandro, lo rivela la seconda parte del libro. Quella in cui si narra il viaggio di Isa a fianco di Oreste, maestro musicale sul viale del tramonto che in un vacanza non programmata a Rapallo e dintorni si rivela personaggio pirandelliano che riscrive il proprio passato e schiude alla giornalista un diverso punto di vista sulla verità.
La trama, figlia della capacità visionaria dell'autrice, dice da sola della contemporaneità di un romanzo che parla di noi e dell'Italia di oggi, imbevuta di telecrazia e mediocrità, glorie vacue e familismo amorale, personaggi improbabili e intellettuali spregiudicati, relazioni pericolose e avventurieri della politica. Un Paese in cui «la visibilità era diventata il sacro Graal che tutti cercavano di conquistare» e la riconoscibilità mediatica dava «un'autorità incondizionata: chi la possedeva poteva fare qualunque cosa, anche ciò che non sapeva fare».
La penna di Paola Baratto cesella quattro personaggi indimenticabili. Aldo Piazza, l'uomo qualunque, ha la potenza del personaggio di un Rabelais del Duemila: intere platee mediatiche si rispecchiano in questa figura che «macina soluzioni improntate all'etica della faciloneria» . Oreste, l'anziano maestro, sopravvive nella casa-gineceo abbandonandosi a finti torpori, per tuffarsi poi in una nessuna e centomila esistenze fuori dalle mura domestiche dove inventa ruoli attuali e storie passate sempre diverse, avventurose o torbide. È lui a esortare la giovane giornalista a «liberarsi dalla prigione della verità».
Poi c'è Sandro, voce narrante della prima parte del libro, ghostwriter che «ancora ragazzo aveva fatto un falò di tutte le illusioni» e s'è rassegnato con accenti dandystici a «una vocazione mercenaria».
Isa, che si impone subito all'attenzione con quel suo «incarnato pallido ammaccato dal sonno», si iscrive con Sandro alla «schiera dei rassegnati». Ma poi scopriamo che non è così: continua a scrivere poesie telegrafiche, «haiku metafisici dall'allusività lieve e policroma», è macerata dal «lavorio dell'inquitudine», conserva «residui infiammabili d'indignazione». Sarà lei, forse per uno di questi residui o forse perché grazie a Oreste ha scoperto che «la menzogna, a volte, è un forma di salvezza», a portare a termine l'intervista sovversiva, impresa risolutiva e peraltro incompiuta.
Con questa trama e il suo inimitabile stile Paola Baratto regala, dall'esilio in cui sono costretti i suoi meravigliosi talenti, un testo visionario e dolente, intimo e corale, a cui non pare azzardato accostare il sostantivo della perfezione.